Calcio

Storie Mondiali: l’Italia e i benedetti rigori

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Nelle scorse settimane abbiamo parlato di storie note e meno note, di vittorie e di sconfitte, di gioie e di drammi non solo sportivi. Ma non si può evitare di chiudere una rubrica dal titolo “Storie Mondiali” con la storia più bella, più dolce, più recente. Più esaltante.
La storia di quella cavalcata incredibile e trionfale che esaltò l’Italia intera come non accadeva da ventiquattro anni. Generazioni intere, compresa quella di chi scrive, non avevano sino ad allora potuto assaporare quel gusto indescrivibile della vittoria di un titolo mondiale, quell’esaltazione collettiva che si manifesta nelle case e nelle piazze, negli oratori e nelle feste popolari, tra amici, familiari e soprattutto sconosciuti: sì, insomma, la gioia di un Campionato del Mondo.

Quell’Italia parte per la Germania avvolta dalle nebbie di calciopoli ma travolta dall’affetto dei tifosi, in particolare da quello dei milioni di emigranti della penisola presenti nel paese teutonico. Andrea Pirlo inaugura la festa, seguito da Vincenzo Iaquinta: 2-0 e il Ghana va ko, in un debutto dove non occorre strafare e la squadra dà prova di una grande solidità. Contro gli Stati Uniti, non basta il violino di Gilardino: tra una gomitata di De Rossi (quattro turni out), un nervosismo neanche troppo latente e una sfortunata autorete di Zaccardo, i nordamericani strappano l’1-1. Ci vuole una prova chiara..per rimettere le cose in chiaro e scacciare ogni fantasma. 2-0 alla Repubblica Ceca, senza troppi problemi: prima Materazzi, poi Inzaghi, con il consueto urlo liberatorio, trascinano l’Italia agli ottavi. Lì si inizia a fare sul serio: Guus Hiddink evoca atroci ricordi, con quell’eliminazione mal digerita contro la Corea del Sud, e ora il santone olandese siede sulla panchina di un’Australia tonica e tosta, peraltro avvantaggiata dall’ingenua espulsione di Materazzi. Il match sembra rotolare verso gli impronosticabili supplementari, quando Fabio Grosso-segnatevi questo nome-subisce un fallo non così nitido in area e Francesco Totti trasforma il susseguente rigore: 1-0, a fatica e col sudore si va avanti. Con l’Ucraina è una festa annunciata: una sassata di Zambrotta la sblocca subito, poi Shevchenko e compagni reagiscono ma impattano sul muro azzurro, e nella ripresa una doppietta dell’ariete Luca Toni chiude i conti.
Semifinale. Contro la Germania, ovviamente in Germania. La sfida che si rinnova nei secoli dei secoli. Ah, a Dortmund i tedeschi hanno sempre vinto ma si sa, non sono un popolo scaramantico. Ne viene fuori una partita certamente non spettacolare come quei leggendari supplementari di 36 anni prima, ma di una intensità e di un agonismo-pur sostanzialmente corretto-indimenticabili: nessun timore reverenziale per gli azzurri, che anzi nei 90′ meriterebbero qualcosa in più di un per nulla scialbo 0-0. Poi però si va nei 30′ extra e i legni di Gilardino e Zambrotta marcano cattivi presagi: i rigori sono vicinissimi, quei rigori dove abbiamo sempre, sempre perso. Ma c’è Fabio Grosso. Ricordate? Un tiro ad incrociare di sinistro dal limite dell’area, un urlo liberatorio alla Marco Tardelli. E mentre il pubblico di casa piange, Alessandro Del Piero in contropiede mette il sigillo sui biglietti per Berlino.

Beh, perdere in finale farebbe male. Perdere in finale contro la Francia, quella stessa Francia che ci eliminò nei quarti del 1998 e ci portò via un Europeo già vinto due anni più tardi, sarebbe un dramma nazionale. Però quel rigore calciato da Zidane al settimo, che batte sulla traversa e picchia beffardamente poco oltre la linea bianca, potrebbe essere una mazzata sui nostri sogni e le nostre speranze. Non è così, perché quell’Italia, tecnicamente non immensa, ha una forza con sé: la stessa forza del 1982, quella di un gruppo che si è chiuso a riccio nonostante scandali e polemiche, che anzi da queste avversità ha tratto l’energia necessaria per sovrastare ogni avversario. Sovrastare, appunto: come quando Marco Materazzi salta in cielo al 19′ e timbra il pareggio. Poi ci sono tanti rimpianti: la traversa ferma Toni, un salvataggio sulla linea lo stesso Matrix. Nella ripresa, invece, facciamo quello che ci è sempre riuscito meglio: difenderci, controllare, contenere, pur senza concedere chissà quante palle gol agli avversari. Supplementari, ancora: e qui la stanchezza si fa sentire, Buffon deve letteralmente fare un miracolo per dire di no a Zidane. Lo stesso Zizou, tuttavia, ci fa un regalo inaspettato: clamorosa testata a Materazzi, il quarto uomo la vede (forse grazie al televisore di bordo campo), la segnala all’arbitro Elizondo e al 111° la Francia perde la sua stella. Da lì, però, c’è quasi un tacito accordo per arrivare i rigori.
Assurdo giocarsi un Mondiale ai rigori. Fabien Barthez e Gianluigi Buffon lo sanno, i loro sguardi si incrociano in un ironico “tocca sempre a noi” mentre si avvicinano alla porta. Assurdo, difficile, clamoroso, scegliete voi l’aggettivo più adatto, soprattutto se vengono alla mente i ricordi del 1998, del 1994 o del 1990.

Tutto scritto? Sì, ma in un altro senso. Pirlo sa tirare un rigore, e non sbaglia: Materazzi non può sbagliare, il suo è un Mondiale perfetto, quindi arriva l’ultima firma. Pochi istanti dopo, tuttavia, Trezeguet scaglia una sassata sulla traversa: e non è gol, non è gol, non è gol, ripete un indimenticabile Fabio Caressa. Non è gol; lo è invece quello di De Rossi, rimessosi a disposizione della squadra dopo l’espulsione contro gli USA, con una legnata sotto l’incrocio. Del Piero, sì, c’è anche lui, vendicandosi di quei due gol sbagliati nella finale europea del 2000.
Ne manca uno. Uno soltanto. L’uomo del destino, Fabio Grosso. Quello del rigore contro l’Australia e del gol-vittoria in semifinale. Vai Fabio, segna. Un popolo intero è con te, 56 milioni di persone ti accompagnano in quell’interminabile camminata verso il dischetto.
C’è, è dentro, è dentro! Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo. Il cielo è azzurro sopra Berlino. Il resto è tripudio, festa, abbracci, lacrime di gioia, e ognuno avrà il proprio aneddoto personale da ricordare.

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