Ciclismo
Buon compleanno, Gino Bartali!
“Quel naso triste come una salita…quegli occhi allegri da italiano in gita”
Paolo Conte è uno dei più grandi cantori del ciclismo e quanto ha fatto con la figura di Gino Bartali non ha eguali. Partiamo da lì, dal naso “triste come una salita” per via di una caduta in età giovanile che suscitò le ire dei suoi genitori e l’ironia della sua Adriana; e dagli occhi allegri, veraci, specchio del suo inimitabile carattere che non cambiavano mai d’espressione, né in salita né in un momento di riposo.
Gino Bartali era questo e tanto altro. Era il ragazzo nato il 18 luglio 1914, cento anni fa, a Ponte a Ema: innamorato della bicicletta, tanto da perdere volutamente alcune corse giovanili per incassare il premio del primo e del secondo classificato e dimostrare così a papà Torello, contadino e sterratore, che anche fare il corridore poteva essere un lavoro.
Gino Bartali era il ventunenne che si trovò in testa alla Milano-Sanremo del 1935, tra lo stupore di tutti quelli che non conoscevano questo “indipendente” – giacché non era tesserato per alcuna squadra – di origini toscane: solo un colpo di genio del direttore della Gazzetta dello Sport Emilio Colombo, che lo fermò a chiacchierare, gli impedì di vincere da sconosciuto la Classica di Primavera. E potete ben immaginare quanti uomini ci vollero a trattenere l’iracondo Gino dopo il traguardo.
Gino Bartali era il ragazzo nato nell’umile ma dignitosissima povertà contadina, cresciuto con un’incrollabile fede in Dio e nella Madonna, tanto da iscriversi all’Azione Cattolica e da dedicare le sue vittorie ante-belliche alla stessa Vergine e non al Duce, con una prevedibile, rabbiosa reazione da parte del regime.
Gino Bartali fu un uomo della Seconda Guerra Mondiale: non in prima linea in Africa o in Grecia, in Albania o in Russia come tanti suoi coetanei, ma al lavoro come meccanico. E tra un viaggio e l’altro, nella canna dell’inseparabile bicicletta, nascondeva i documenti necessari alla salvezza di centinaia di ebrei, tanto da essere stato proclamato “Giusto tra le nazioni“.
Gino Bartali era GinoBartalieFaustoCoppi, tutto attaccato. Si tifava per l’uno, si tifava per l’altro: l’Italia era amorevolmente divisa in due tra due leggendari fenomeni del ciclismo. Una rivalità nata nel 1940, quando il suo giovane gregario piemontese, sorprendentemente in maglia rosa, andò incontro ad una grave crisi di fame sulle Alpi: e allora Gino lo avvicinò, lo gettò nella neve urlandogli “Coppi, sei solo un acquaiolo!”, termine che non ha certo bisogno di spiegazioni, e l’Airone si riprese, riuscendo a difendere il simbolo del primato e a vincere quel Giro. Una rivalità unita dal tragico destino che portò via ad entrambi un fratello nel fiore degli anni, ovviamente in bicicletta, che si concluse tristemente in una camera ardente, quando Fausto spirò per quell’assurda malaria ancora quarantenne: e Gino pianse per aver perso l’odiato e amato rivale di sempre.
Gino Bartali era semplicemente Gino Bartali, un personaggio unico, sincero, diretto, di quell’ironia e quella schiettezza che solo i contadini toscani sanno avere. Un personaggio iscritto per sempre, in un posto d’onore, nella storia d’Italia e nei ricordi di ogni appassionato di sport, perché l’Italia, semplicemente, non sarebbe stata tale senza Gino Bartali.
E allora, come gli urlò Fausto Coppi lasciandolo andare a conquistare tappa e maglia a Briançon al Tour 1949, un 17 luglio,…”Tanti auguri, Vecchiaccio!”
PS: Gino Bartali non c’è più, già da 14 anni ormai. Ma siamo sicuri che da lassù, nel Paradiso degli Eroi sportivi e non dove è stato recentemente raggiunto dall’adorata moglie Adriana, apprezzi tutto questo con la consueta ironia. E magari dia una spinta alla bicicletta di un altro figlio della Toscana, pur di origini isolane, come Vincenzo Nibali, impegnato ad inseguire quel sogno che Gino realizzò due volte.
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marco.regazzoni@olimpiazzurra.com