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Ciclismo

Il ciclismo femminile, la dignità e i sorrisi delle atlete

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Il ciclismo è probabilmente l’unico sport che viene incontro alla gente, senza il bisogno di recarsi in uno stadio, in un palazzetto o in una palestra per assistervi: sono i ciclisti e le cicliste a portarsi nelle strade e nelle piazze, nelle città e nei paesi, e un tifoso può così trovarsi fianco a fianco ai propri campioni nei posti che frequenta abitualmente, nella vita di tutti i giorni, per una volta prestati ad uno degli sport più belli del mondo.

Si diceva, volutamente, ciclisti e “cicliste”. Perché l’altra metà del cielo, cioè il ciclismo femminile, vive una serie di problematiche incredibili, che tante volte abbiamo elencato e analizzato: dall’oscuramento mediatico (l’unica diretta televisiva, in Italia, avviene per i Mondiali e per di più con ottimi risultati sul piano dell’audience) a seri problemi organizzativi (com’è possibile che Europei e Giro Rosa si sovrappongano, quando ci sono intere settimane sguarnite di corse?), dalle condizioni di gara talvolta oltre i limiti della sicurezza (ricordate il Giro di Toscana 2013?) al trattamento stesso delle atlete, che non hanno nemmeno lo status di professioniste, un fatto veramente indegno considerando la loro fatica e il loro impegno. Già, perché la chiave di tutto è questa: perché in così pochi si accorgono che la fatica di una ragazza che pedala è la stessa di un ragazzo? Che il sudore a scalare una montagna o a fare 100 km sotto la pioggia e controvento è il medesimo per una ragazza e per un ragazzo? Che il sapore di una vittoria è ugualmente esaltante tanto per una ragazza quanto per un ragazzo?

In pochi, purtroppo, lo capiscono. Ed è un peccato, un vero peccato, perché l’ambiente del ciclismo femminile è eccezionale. Domenica scorsa, a Varese, ho potuto una volta di più toccarlo con mano e apprezzare la gentilezza, la disponibilità, la simpatia delle atlete. No, non erano rintanate da qualche parte ad aspettare la partenza; erano lì, pronte a firmare autografi ai collezionisti, pronte a lasciar parlare le proprie emozioni ai giornalisti e ai tifosi.

C’era ad esempio una Valentina Scandolara che sfoggiava il consueto spirito battagliero, presa tra agonismo, beneficenza (ricordiamo una volta di più la sua iniziativa per il Meyer) e “sindacalismo”, domandandosi tuttavia l’utilità delle sue dure prese di posizione per ottenere migliori condizioni di trattamento; d’altronde lei ha il merito e la fortuna di militare in uno squadrone australiano, dove il ciclismo femminile ha un’altra dignità e un’altra considerazione, e si aspetterebbe un po’ più di partecipazione delle colleghe a queste comuni e fondamentali battaglie. C’era una Fabiana Luperini nei cui occhi si leggeva la grinta, la voglia di finire alla grande una carriera altrettanto grande, presumibilmente inimitabile, perché è ancora aperta la ferita dell’assurda squalifica al Giro Rosa di un anno fa; e a proposito di occhi, in quelli di Francesca Cauz, non spenti dalla pioggia battente, si vedeva la ferrea volontà, tipica degli scalatori, di tornare in alto dopo qualche corsa non troppo positiva. Nell’inimitabile sorriso di Giada Borgato c’era la convinzione che i risultati prima o poi torneranno a darle ragione, perché non si vince una maglia tricolore per caso, e bisogna solo stringere i denti quando le cose non vanno troppo bene; in quello di Susanna Zorzi c’era una certa timidezza e un’altrettanto straordinaria gentilezza, come per Elena Cecchini, futura campionessa d’Italia, che si preoccupava di dire “aspetta qui, vado a firmare e torno tra un minuto” per poi puntualmente tornare, senza sparire nel nulla come farebbe qualche pseudocampione. E infine c’era Elisa Longo Borghini, la più cercata e la più richiesta, un po’ perché a Varese è quasi di casa, un po’ perché in una giovanissima carriera ha saputo vincere tanto e bene; eppure, nemmeno lei si tirava indietro, aveva anzi una battuta pronta per tutti e non si sottraeva a foto, domande, autografi e chiacchierate.

Questa è l’essenza del ciclismo. Femminile, in modo particolare: ragazze normali, straordinariamente normali, che si allenano tutti i giorni e non hanno paura a nascondere gioie ed emozioni, dubbi e preoccupazioni. E allora buon Giro Rosa, a tutte voi e a tutti gli appassionati; e buoni Europei, a chi avrà l’onore di difendere la maglia azzurra; sperando che i tifosi vi seguano con la stessa passione con cui seguono i ragazzi, che le televisioni vi diano lo spazio meritato, che federazioni e squadre vi trattino finalmente come atlete di serie A.

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Le speranze azzurre al Giro Rosa
Il percorso del Giro Rosa
L’elenco provvisorio delle iscritte

Foto: Facebook Simone Nespoli

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