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Rugby | L’Eccellenza, tra presunto professionismo e sopravvivenza

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“Ho realizzato il sogno di fare del rugby un lavoro, ma ora chiedo i soldi dell’affitto a mio padre perchè non mi pagano…”. Partiamo da qui, da un triste tweet di pochi giorni fa a firma di Carlo Fazzari, 24enne pilone passato dalle Zebre al Petrarca Padova nello scorso mese di gennaio per cercare di ritagliarsi un ruolo da protagonista. Dal Pro12 all’Eccellenza, da una realtà del rugby internazionale alla massima serie italiana della palla ovale per inseguire il proprio sogno e per vivere di rugby. Ma Fazzari, così come molti altri suoi colleghi ‘eccellenti’ (perché non solo a Padova sono sorti problemi del genere, anzi…), hanno trovato ostacoli sul loro cammino figli di un sistema snaturato dal presunto semi-professionismo in voga al momento, un magma in cui la Federazione e i Presidenti dei club, per un motivo o per un altro, non riescono a tirar fuori soluzioni concrete per il rilancio di un campionato sempre più alla deriva.

Il declino dell’Eccellenza ha una data di inizio ben precisa e coincide inevitabilmente con l’ingresso nella Celtic League da parte dell’Italia, accolto con entusiasmo dal movimento nazionale. E le ragioni sono ovvie, se pensiamo ai progressi compiuti nelle ultime stagioni dai giocatori del Benetton Treviso, degli Aironi prima e delle Zebre poi. L’esodo verso l’Inghilterra di tanti ex biancoverdi ne è la testimonianza più evidente. Ma mentre le due franchigie celtiche scorrazzavano per i campi irlandesi, scozzesi, gallesi e dell’Heineken Cup, grazie anche ad un contributo economico non indifferente da parte della FIR, l’Eccellenza ha cominciato ad arrancare. Sotto le luci dei riflettori è finito inevitabilmente il Pro12 e l’avventura italiana, con il conseguente allargamento della forbice tra l’alto livello e il domestic, quasi snobbato nell’ultimo quadriennio. La causa principale, ça va sans dire, è la classica mentalità italiana rivolta essenzialmente all’interessamento del vertice della piramide, alla cura dei prezzi pregiati. Il movimento ha rivolto gran parte delle sue attenzioni alle neonate creature celtiche, trascurando il primogenito e dimenticandosi di chi aveva portato il rugby italiano al Sei Nazioni e alle porte di quella nuova avventura. Un errore di proporzioni gigantesche, più di quanto si possa pensare.

Dopo quattro anni di logiche da foresta, però, le conseguenze dell’abbandono a se stesso dell’Eccellenza stanno emergendo a spron battuto. Il vaso di Pandora, del resto, non è stato scoperchiato da Fazzari con il suo tweet, ma è solo l’ennesima goccia in un vaso ormai traboccante di giocatori senza stipendio, sponsor in fuga e società in bilico e ad un passo dal fallimento. Una, tra l’altro, è fallita definitivamente circa un mese fa, ovvero i Crociati di Parma, nati oggettivamente male e scomparsi peggio. Sotto le luci della ribalta, in particolare, sono finiti i Cavalieri Prato, da due stagioni sull’orlo del baratro a causa dei problemi finanziari. Lo scorso anno i toscani riuscirono ad iscriversi al campionato, ma al momento non si intravedono barlumi di speranza per far sì che il miracolo si ripeta. Stipendi non pagati e crisi economica hanno caratterizzato anche la stagione a L’Aquila, riuscita ugualmente ad ottenere la promozione e a stabilizzarsi con la creazione di una nuova società, L’Aquila Rugby Club. Il lieto fine ha caratterizzato anche la breve parentesi ricca di dubbi di Viadana, dopo l’addio di patron Silvano Melegari. Si temeva addirittura la Serie C, ma l’allarme è rientrato nel giro di poche settimane. Una scossa c’è stata anche a Rovigo, dove il main sponsor, la Vea, ha lasciato perché “con questo sistema non solo è poco conveniente, ma anche frustrante”. Parole che si commentano da sole, a testimonianza di quanto l’Eccellenza si trovi in un limbo da cui nessuno sembra poterla (o volerla) tirare fuori.

Eppure, continuare sul leit-motiv degli ultimi anni non sarebbe destabilizzante soltanto per la situazione economico-finanziaria delle società, ma anche da un punto di vista tecnico e mediatico. La crisi del massimo campionato italiano è evidenziata anche dalla bassa qualità dei match, dallo scarso pubblico (escluse realtà come Rovigo e Padova) e dalle grandi difficoltà, per i giocatori provenienti dall’Eccellenza, nell’adattarsi alla realtà celtica al momento del salto di categoria. Tra Pro12 ed Eccellenza è stato scavato un abisso per quanto riguarda intensità negli impatti, know-how dei giocatori e rapidità d’esecuzione, contribuendo alla povertà anche tecnica del campionato, mentre invece si sta dilapidando l’occasione di creare un torneo con basi solide per, in primo luogo, poter formare giocatori da inviare alle franchigie e da offrire all’alto livello, partendo magari dai giovani. Gli stessi giovani, in un contesto del genere, poco valorizzati e spesso bistrattati, si rifugiano spesso all’estero, come nel caso di Filippo Lazzaroni, approdato al Brive, e di Simone Ferrari, accasatosi tra gli espoirs di (udite udite) Tolone. Difficile biasimarli, d’altronde la scelta tra vivere esperienze formative di tale livello e sopravvivere in un campionato ridotto ai minimi termini non appare tra le più complicate. Purtroppo.

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daniele.pansardi@olimpiazzurra.com

Foto: FotosportIT/FIR – Roberto Bregani

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