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Ciclismo, sempre meno squadre italiane. Un problema per i nostri giovani? Come cresceranno?

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C’erano una volta la Fassa Bortolo e la Liquigas, la Saeco e la Mercatone Uno, la Lampre e la Mapei. Tutte queste formazioni erano tra i top team del ciclismo globale a cavallo tra i due millenni ed erano italiane di licenza, di sponsor, di management e soprattutto di corridori, perlomeno della maggior parte.

Ad oggi, sono invece solamente due le squadre italiane inserite tra i Top Team, ovvero Lampre-Merida e Cannondale: peraltro, i verdi eredi della Liquigas si fonderanno a partire dalla prossima stagione con la Garmin che avrà il ruolo di main sponsor. Certo, c’è anche da dire che un po’ tutte le nazioni hanno perso squadre e il ciclismo si è via via globalizzato: Stati Uniti, Russia, Australia, Kazakistan, la stessa Gran Bretagna erano paesi tutto sommato marginali del mondo di questo sport e sono invece emersi come superpotenze sia a livello di formazioni, sia a livello di corridori a scapito di Italia, Belgio, Germania, Francia e persino della Spagna.

Nel caso italiano, i grandi top team sono venuti meno sia perché non potevano competere a livello finanziario con gli ingenti capitali dei paesi emergenti, ma anche per una scarsa credibilità che ha avvolto il nostro ciclismo dell’età dell’oro: quanti di quei campioni che vincevano classiche e grandi giri possono dire di non essere mai stati “catturati” dalla rete antidoping? Si tratta di un numero davvero esiguo e un fatto del genere ha messo in crisi un intero movimento, perché con la fuga degli sponsor si sono ridotte le opportunità per i giovani corridori italiani di mettersi in luce. Sì, ha resistito una buona quantità di formazioni Professional e Continental (su tutte va elogiata la Bardiani-Csf per l’incredibile e costante lavoro di qualità svolto anno dopo anno), ma queste devono lottare costantemente per ottenere gli inviti alle corse più prestigiose: e, sebbene a riguardo ci siano diverse scuole di pensiero, l’impressione è che a un giovane corridore faccia meglio terminare in centosessantesima piazza un Giro d’Italia che non ottenere buoni piazzamenti in qualche corsa open, a metà tra il professionismo e il dilettantismo.

L’auspicio, dunque, è che il recente trionfo di Vincenzo Nibali al Tour de France, la grande crescita di un campioncino come Fabio Aru e le affermazioni in serie di ragazzi coraggiosi nati per attaccare al Giro d’Italia facciano tornare la voglia di investire nel ciclismo nostrano. Anche se il momento economico non è certo dei più positivi, il ciclismo, o meglio il ciclismo pulito, può rappresentare un’enorme vetrina per un marchio intenzionato a farsi conoscere. E più investimenti significherà maggiori possibilità di emergere per i nostri atleti.

Foto: Bettini per Team Lampre-Merida

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marco.regazzoni@olimpiazzurra.com

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