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Ciclismo – Mondiali 2014, Italia: tanto impegno, ma scarsi risultati

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Partiamo dai presupposti: l’Italia si è presentata ai Campionati del mondo di Ponferrada 2014, nella prova in linea degli Elite, senza i favori del pronostico e con un campitano, sulla carta, che sembrava non essere al top e acciaccato da una caduta patita poco più di una settimana fa alla Tre Valli Varesine. Questi fattori hanno portato la squadra di Davide Cassani ad animare la corsa, trovandosi però completamente scoperta nel finale, quando la squadra italiana si è di fatto dileguata.

A 70 chilometri dalla conclusione, al termine di un lungo lavoro della Polonia per tenere controllata la fuga la squadra italiana ha decisamente preso in mano le redini della corsa. Prima con Daniele Bennati in discesa e poi con Fabio Aru in salita, quella del Mirador, la nazionale ha messo in fila il gruppo, mettendo anche in difficoltà parecchi atleti per poi provare, il giro successivo, a portare un vero e proprio attacco. Da qui in poi si sono susseguiti diversi scatti da parte degli azzurri, che però sono parsi poco decisi e talvolta sconclusionati, senza un vero e proprio obiettivo concreto se non quello di farsi vedere in testa alla corsa.

Nel finale i limiti della squadra sono emersi, chiari e lampanti. I migliori Alessandro De Marchi, forse l’unico che ha potuto sognare di giocarsi la maglia iridata per qualche minuto durante l’attacco che l’ha portato al comando con altri 3 corridori ai piedi dell’ultima salita, e Sonny Colbrelli, 13esimo sul traguardo dietro a velocisti più forti di lui ma addirittura in decima posizione all’ultimo passaggio sul Mirador. Non un semplice velocista, che ieri, probabilmente, ha iniziato a studiare da grande: non gli farebbe male, anche l’anno prossimo, il passaggio in una squadra World Tour che possa permettergli di correre le classiche più importanti per testarsi a quei livelli che ormai sembrano competergli.

Arriviamo, dunque, agli ultimi 7 chilometri di corsa. Con De Marchi ormai nel mirino del gruppo, chi sarebe dovuto essere il capitano della spedizione italiana? Dato il comportamento dei 9 componenti della squadra la risposta pare scontata: Vincenzo Nibali. L’unico, ovviamente assieme a Colbrelli, che non aveva ancora provato a fuoriuscire dal gruppo, scortato dai compagni per tutta la durata della corsa. Ma la fiammata del vincitore dell’ultimo Tour de France non è arrivata, e con il passare dei metri della salita è scivolato sempre più indietro per transitare in cima all’ultimo strappo praticamente assieme a Fabio Aru, più volte in avanscoperta nei 60 chilometri precedenti. È chiaro che a Nibali, nel momento chiave della corsa, sono mancate le gambe, oltre che le caratteristiche per fare la differenza.

Arrivato al Mondiale non al top, gli sono piombate addosso forse troppe responsabilità. Giovanni Visconti o lo stesso Aru avrebbero potuto risparmiarsi per arrivare freschi a loro volta nell’ultimo giro, quello decisivo. Qui entrano in gioco probabilmente le scelte di Davide Cassani, Commissario tecnico della nazionale. La sensazione è che la sua corsa sia stata più che altro una vetrina di buone intenzioni, non suggellate dalla volontà di provare realmente a vincere la corsa. Anche Nibali ha probabilmente sbagliato a valutare le proprie sensazioni, inducendo i compagni a lasciargli spazio nel finale. Ma il percorso, già non particolarmente adatto a lui, l’ha brutalmente respinto, senza appello.

La prestazione di ieri del team, è ovviamente anche frutto di un movimento che ha vinto due Classiche negli ultimi anni, con i soli Filippo Pozzato (GP Plouay 2013) ed Enrico Gasparotto (Amstel Gold Race 2011), entrambi esclusi. Il secondo, e non solo con il senno di poi, avrebbe potuto dare manforte ad una squadra inesperta e che in campo internazionale ha sempre fatto vedere molto poco. Gli ultimi risultati di prestigio, sulle Ardenne, sono stati conquistati proprio dal corridore dell’Astana, in un modo o nell’altro sempre competitivo tra Amstel Gold Race e Liegi-Bastogne-Liegi le corse che più somigliavano al circuito di Ponferrada.

Da qui Davide Cassani può ripartire. Con un’esperienza importante alle spalle, per provare a dare quella svolta che non c’è stata rispetto alla gestione Bettini che ha (quasi) sempre presentato nazionali volitive ma raramente pragmatiche: in una corsa come il Mondiale vale più uno scatto portato al momento opportuno e con la convinzione giusta (vedi il successo di Kwiatkowski) che una corsa in prima fila per poi sparire nelle fasi.

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gianluca.santo@olimpiazzurra.com

Foto: Pagina Facebook Tinkoff-Saxo

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