Ciclismo
Ciclismo: che pasticcio, Santambrogio!
Poco più d’un mese fa, avevamo preso spunto dalla storia di Mauro Santambrogio per affrontare il “diritto alla seconda chance” di un corridore (meglio: di un atleta, perché troppo spesso ci si accanisce sul ciclismo che paga a caro prezzo i propri controlli ferrei come in nessun’altra disciplina) dopo un caso di positività.
Pochi giorni fa, tuttavia, ecco la bomba: il ciclista comasco viene trovato positivo, in un controllo a sorpresa datato 22 ottobre, al testosterone. Peraltro, in quel periodo Santambrogio era ancora squalificato e solo dopo pochi giorni avrebbe firmato il contratto con l’Amore&Vita, squadra da sempre testimonial del ciclismo pulito, per provare a rilanciare la sua carriera; carriera che, ovviamente, rischia di essere stroncata dal procedimento che si aprirà nei suoi confronti con una presumibile, nuova squalifica.
Ora, poniamoci in buonafede e crediamo alle parole di Mauro, secondo cui l’uso del testosterone, come del resto facilmente intuibile, sia da imputare all’utilizzo peraltro dichiarato di un farmaco per contrastare i problemi d’erezione. Non sono mancate spiegazioni del genere anche in passato, da parte di sportivi più o meno illustri (ricordate Marco Borriello?), e non sta certo a noi giudicarne la veridicità: in ogni caso, certo, se l’assunzione di tale sostanza fosse stata voluta per migliorare le prestazioni agonistiche il tutto suonerebbe alquanto assurdo, considerando la contemporaneità col periodo di stop e la lontananza dalle prime gare stagionali.
Ma Santambrogio sapeva (e sa) che l’assunzione di testoterone è proibita dai regolamenti internazionali, sebbene si spinga oltre nel dichiarare di aver comunicato per tempo all’Uci l’assunzione di tale farmaco. Come uscirne? Lo stabiliranno le autorità competenti, per quanto il destino del corridore possa apparire già segnato. Le risposte sono due: o nel ciclismo globale esiste un sistema profondamente malato, che punta a “fare fuori” chiunque possa in qualche modo risultare pericoloso (e Santambrogio, su spinta del Coni, sembrava pronto a recitare il ruolo di testimonial dell’antidoping), oppure il comasco ha commesso un’ingenuità clamorosa. Ingenuo e non di più, perché, a differenza di altri celeberrimi casi del passato, questo ragazzo non è andato a mettere a rischio la propria vita con pratiche ben più pericolose del testosterone. Ma le ingenuità, vedi tanti casi di cui abbiamo trattato anche recentemente, si pagano profumatamente.
Difficile dare una risposta sicura. Gli organismi che governano il ciclismo globale hanno ancora parecchia strada da fare per recuperare piena credibilità: aver insabbiato e coperto il sistema Armstrong per un buon decennio basta e avanza per dubitare di ogni loro mossa. D’altro canto, la credibilità di un corridore che è già stato trovato positivo – quella volta sì, per migliorare le proprie prestazioni agonistiche – non può certo raggiungere picchi elevati. Un gran pasticcio insomma, dal quale sembra assai complicato trarre qualche conclusione.
foto: pagina Facebook Mauro Santambrogio
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marco.regazzoni@olimpiazzurra.com