Ciclismo
Luca Paolini, l’ultima perla (forse) di una carriera da Oscar
È il 22 marzo del 2003. Si sta disputando la Milano-Sanremo, prima classica monumento della stagione ciclistica. Paolo Bettini fa il diavolo a 4 sulla Cipressa, prende margine con alcuni compagni di fuga. Quando viene ripreso, in vista del Poggio, sembra voler alzare bandiera bianca.
Nei giorni precedenti, e il Grillo lo racconta nella sua autobiografia ‘Così ho pedalato in cima al mondo’, scritta con Andrea Berton, aveva scelto con un compagno di squadra un punto preciso dove attaccare: “Quando arriviamo qui si scatta assieme, io e te. E si va a vincere in via Roma“. La realtà dei fatti, in corsa, sembra diversa. Le energie spese da Bettini sono tanti e la corsa sembra essersi messa nel migliore dei modi per i velocisti. Sempre lo stesso compagno, però, si avvicina ancora: “Allora, sei pronto?” “Che pronto e pronto, con quello che si è speso! Ormai Cipollini e i velocisti hanno la corsa in mano” “Guarda che son tutti morti qua. Non è ancora finita. Quando arriviamo dove previsto scatto. Se ci sei bene. Se no vado da solo“. Le due maglie QuickStep escono di prepotenza dal gruppo, seguite solo da Mirko Celestino. Bettini è pilotato splendidamente fino alla volata e non ha problemi a portarsi a casa la terza classica monumento della carriera, la prima Milano-Sanremo.
Il compagno di squadra è, ovviamente, Luca Paolini. Che quel giorno, sull’arrivo in via Roma, alza le braccia al cielo 50 metri più indietro il proprio capitano. Probabilmente avrebbe potuto giocarsi le proprie carte da solo. Invece, come ha fatto per tutta la carriera, ha lavorato splendidamente per gli altri. Un po’ psicologo e un po’ artista, lesto di pensiero più che di gambe. E anche quelle, come girano.
A 38 anni ha conquistato ieri la vittoria più bella della carriera, arrivando da solo sul traguardo indicandosi la testa e il cuore dopo una Gand-Wevelgem da antologia. Il vento spezza il gruppo fin dai primi chilometri, la pioggia rende il tutto ancora più difficile, il freddo sembra penetrare anche attraverso i televisori. E il Gerva è sempre davanti, a prendere questo vento in faccia per proteggere il proprio capitano Alexander Kristoff, a sua volta, proprio come Bettini, portato da Paolini fino agli ultimi 300 metri nella Milano-Sanremo 2014, poi vinta. Questo fino a 70 chilometri dal traguardo. Poi, quando già c’è un gruppetto con tutti gli uomini più in forma del momento all’attacco, la maglia del milanese della Katusha esce dal gruppo. Libero da compiti di gregariato, Paolini corre e interpreta la corsa per vincerla. Quando si arriva agli ultimi chilometri sembra battuto. Eppure riesce a mettere nel sacco tutti gli avversari più giovani di lui. Con le energie risparmiate nei chilometri precedenti e con una scelta di tempi impressionante per sagacia e perfezione lascia tutti sul posto: gli ultimi 6 chilometri, poi,i sono un’esplosione di giovinezza.
Dopo i Mondiali di Firenze Paolini ha detto addio alla nazionale, quantomeno come atleta in occasione dei Campionati del mondo. Se le prestazioni sono queste, considerando anche l’assenza delle radioline nella corsa iridata, un atleta come lui potrebbe essere vitale per il CT Davide Cassani. La sua capacità di leggere la corsa, in tutte le situazioni, è ormai leggendaria e non è un caso se Bettini l’ha sempre voluto al propio fianco con la maglia azzurra. Perchè se il percorso di Richmond assomiglia ad un piccolo Fiandre, quale miglior scenario per chiudere una carriera che è già nella storia?
Ieri, pochi minuti dopo la vittoria, Paolini si è nuovamente messo a disposizione dei compagni. Per il Giro delle Fiandre di domenica prossima ha già dichiarato che il capitano unico sarà Kristoff. La licenza di uccidere se l’è revocata da solo, dopo un’impresa che non si può dimenticare.
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gianluca.santo@olimpiazzurra.com
Foto: Gianluca Santo