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Golf, la legge di Jordan Spieth! Altri record, altro Major: suo uno US Open 2015 al cardiopalma, 27° Molinari

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L’uomo della storia. Dopo la vittoria nel Masters, Jordan Spieth non si ferma più e conquista il suo secondo Major consecutivo a Chambers Bay, lo US Open 2015, in un ultimo round dai contorni quantomai thriller. Il 22enne texano, come già accaduto ad Augusta, non si accontenta di vincere, ma stabilisce nuovamente una serie di record: il più giovane a vincere l’Open dal 1923, il più giovane a vincere due Slam dal 1922 e il più giovane in assoluto a vincere Masters e US Open. E un clamoroso Grande Slam, seppur di immane difficoltà, si profila all’orizzonte.

Per questo Spieth, d’altronde, tutto sembra essere possibile. Il fuoriclasse americano sembrava aver chiuso i giochi con il birdie alla 16 (dopo averne messi a segno altri due e aver iniziato con un bogey), ma alla 17 un inaspettato doppio bogey ha riaperto completamente i giochi. La classe di Jordan, tuttavia, è emersa nuovamente nel momento più decisivo, alla 72esima buca, con un birdie decisivo per le sorti del torneo e per il -5 finale (275 – 68 67 71 69). La 72esima buca, invece, ha tradito Dustin Johnson, che butta via le chance di playoff con tre putt dopo aver raggiunto il green in due colpi; per lo statunitense è soltanto secondo posto, a -4 (276 – 65 71 70 70), a pari merito con colui che forse ha giocato meglio di chiunque altro su un campo dalle mille sfaccettature, ovvero Louis Oosthuizen. Il sudafricano è, come Johnson, runner up del torneo (77 66 66 67) ma soltanto a causa di un primo giro da incubo, senza del quale avrebbe dominato in lungo e in largo un Major concluso in maniera pazzesca, sei birdie nelle ultime sette buche, insufficienti però ad agguantare Spieth.

Il quarto posto se lo dividono in tre, con altrettante sensazioni diverse. Per il giovane classe ’93 Cameron Smith, di fatto, è un sogno e, chissà, la svolta della giovane carriera. L’australiano, con un spettacolare eagle alla 18, risale a -3 (277) in extremis, diventando l’unico dell’intero field a collezionare quattro round sotto o pari al Par (70 70 69 68). Il suo connazionale, Adam Scott, è invece protagonista di un giro di una cavalcata ai limiti della razionalità: sei birdie, l’impresa di non marcare nessun bogey e un 64 (-6) con cui sfiora soltanto una rimonta che avrebbe avuto dell’incredibile. E poi c’è Branden Grace, al suo miglior Major della carriera ma fino alla buca 16 acora in corsa per la vittoria: un doppio bogey, però, ha tagliato le gambe al sudafricano, costringendolo alla resa.

I sudafricani monopolizzano di fatto la Top 10, vista la presenza di Charl Schwartzel in settima posizione (-2), davanti a Brandt Snedeker (-1). Rory McIlroy, invece, ricorda a tutti di essere comunque il numero uno al mondo e stampa un bel 66, con cui chiude al nono posto (Par), pari merito con l’irlandese Shane Lowry e con l’altro grande sconfitto di giornata, Jason Day. L’australiano, colpito da vertigini nel terzo giro ma capace ugualmente di portarsi al comando, crolla sul più bello con un giro in 74 e vede svanire ancora i sogni di Major.

Come spesso capita, Francesco Molinari mantiene dei livelli di gioco altissimi da tee a green, mostrando una precisione ed una regolarità fuori dal comune a livello mondiale (primo nel torneo per Green In Regulation, secondo per fairway presi). Il problema, tuttavia, restano i putt, ben 36 nell’ultimo round: troppi per tentare di  competere con i migliori e il torinese, infatti, si deve accontentar e di una modesta 27esima posizione, forse anche stretta considerando le potenzialità. Chicco chiude a +5 (285 – 68 73 72 72), con un 72 conclusivo (+2) che arriva dopo sedici Par consecutivi e due bogey nelle ultime due, a rovinare un piazzamento nella Top 20 che l’italiano avrebbe meritato.

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