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Sport e cultura, il binomio possibile di Hermann Bausinger

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Esiste una “Cultura dello Sport”? È l’interrogativo che si è posto alcuni anni fa l’eminente studioso tedesco Hermann Bausinger in uno dei suoi libri più importanti sulla tematica, proprio nel tentativo di analizzare il ruolo di grande importanza che la cultura sportiva svolge nella nostra vita quotidiana. Uscito nel 2006 con la casa editrice Attempto con il titolo Sportkultur è stato tradotto in italiano come La cultura dello sport (Armando editore, 2008). Hermann Bausinger è stato Professore di Folklore a Tubinga e direttore per l’Istituto per gli studi empirici e culturali fino al 1992. I suoi interessi di ricerca si sono concentrati sullo studio della cultura popolare e della storia culturale e sociale e, proprio per i suoi studi, è considerato una delle figure di spicco del dopoguerra nell’analisi del folklore tedesco.

Come già accennato, questo volume non riguarda tanto lo sport quanto, piuttosto, le culture sportive: “Lo sport è, insomma, una famiglia di attività, segni e pratiche che tessono le relazioni fra chi lo pratica e chi vi assiste. Parlare dello sport è quindi parlare di vita quotidiana e di cultura giornaliera”. Il libro di Bausinger si compone di diversi saggi suddivisi in tre parti, lungo studi condotti per oltre un ventennio. Nel primo segmento di scritti, lo sport è analizzato come uno degli elementi costitutivi della cultura attuale e come la stessa cultura attuale non possa non esser letta in termini sportivi in quanto “si tratta di vedere se non è forse vero che le strutture e le peculiarità proprie dello sport non stiano invece permeando una schiera sempre più vasta di ambienti e contesti culturali”. Sotto questa lente d’approfondimento, “è innegabile – sottolinea Bausinger – che lo sport di massa rappresenta un segmento dell’industria culturale, del consumo industriale e del grande sistema del divertimento”. Qui si entra appieno nel campo della modernità sportiva, specie nel momento in cui l’attività fisica si estende da ristrette cerchie d’elite a una dimensione di massa con tutte le conseguenze che derivarono da questo processo di allargamento del pubblico. È interessante seguire questo ragionamento di Bausinger in quanto fa emergere la storica contrapposizione tra “dilettante” e “professionista”. Dilettante, sottolinea il sociologo tedesco, indicava “colui che non svolgeva alcuna attività fisica per professione” ma, con il tempo, le dinamiche all’interno delle società moderne sono decisamente cambiate, facendo emergere una nuova dimensione dell’intendere l’attività sportiva. E allora lo strumento migliore per comprendere il passaggio dilettante/professionista è la lettura delle biografie dei campioni sportivi dove si somma “la bellezza interiore del dilettante al comportamento esterno da professionista”, seguendo passo passo il futuro fuoriclasse fin da bambino, che intende lo sport come divertimento, a quando, cresciuto e affermatosi, riesce a coinvolgere la dimensione collettiva diventando un punto di riferimento per tutti coloro che aspirano a emularne le gesta. Si comprende meglio, allora, di cosa parliamo quando parliamo di influenza dello sport nella vita quotidiana: “Sportivo appare ormai la denominazione di un’impostazione o di un atteggiamento, derivato dal principio strutturale dello sport, che funziona come competizione solo se vengono rispettate le regole (comprese quelle non scritte). L’atteggiamento sportivo – e lo sport deve la sua fama anche a ciò – è un valore riconosciuto anche negli ambiti della comunicazione e dei conflitti che non stanno in diretta connessione con lo sport”.

L’osservazione dello sport sotto la lente della storia e della storia sociale è il nucleo principale della seconda sezione, arrivando a parlare di “linguaggio” dello sport nel corso degli ultimi due secoli. L’esperienza di studioso di Bausinger si sofferma naturalmente sul mondo culturale tedesco e il suo punto di partenza è costituito da Friedrich Theodor Vischer e dalla sua convinzione di “fare di un individuo dimezzato, un uomo intero”. La portata di un suo rivoluzionario discorso, tenuto all’Università di Tubinga il 21 novembre del 1844, fu davvero sconvolgente in un mondo accademico accesamente conservatore che, di fatto, pose fine alla sua carriera universitaria. Il nucleo centrale del pensiero di Vischer era nel concepire l’attività fisica a livello globale e con il progressivo coinvolgimento di tutta la popolazione tedesca. E l’obiettivo era evidente: “Lo scopo che Vischer ha davanti agli occhi è l’irrobustimento militare, l’esercitazione bellica congiunta a una libera coscienza cittadina”. Accanto a Friedrich Vischer, Bausinger ricorda la figura di Theodor Georgii, organizzatore, sin in giovane età, di associazioni sportive come la Federazione ginnica Sveva (1848). Anch’egli era convinto come l’attività fisica fosse strettamente connessa con le eventualità belliche della Germania. Da questo punto di vista, rimase memorabile il suo discorso a Coburgo nel 1860 dove, evocando l’immagine del popolo germanico in ginocchio come un ginnasta in posizione flessa, l’esortò a un memorabile “Popolo tedesco, rialzati!”

La terza e ultima parte è invece dedicata alla globalizzazione dello sport e, in particolare, di come la pratica sportiva non solo si è allargata a una dimensione di massa ma come essa stessa abbia allargato la propria influenza a livello mondiale. Da questo punto di vista, nota Bausinger, non c’è dubbio che l’aver riscoperto le Olimpiadi da parte del Barone De Coubertin abbia condotto a degli effetti positivi. Lo studioso dell’Università di Tubinga si sofferma molto su questo punto sottolineando la capacità dello sport di riuscire a “importare” influenze culturali esterne per poi riuscire a riprodurle, in maniera originale, con caratteristiche proprie. Allo stesso tempo, Bausinger sottolinea la sua convinzione sulla possibilità dello sport di riuscire a stabilire un livello di comunicazione internazionale. Ovviamente, la globalizzazione dello sport non poteva non accompagnarsi a delle profonde trasformazioni grazie al suo “linguaggio”: “Il ‘villaggio globale’ fa valere le stesse configurazioni e leggi dello sport, e il suo linguaggio, privo di parole, è comprensibile quasi a tutti […] Lo sport moderno, poi, fu praticato con tale impegno, specialmente in Nord America e in Europa, e venne accolto così ampiamente che sarebbe stato necessario spiegare perché non avrebbe dovuto espandersi, come appunto fece. Il fatto poi che la crescita dello sport andasse di pari passo con la crescita degli interessi economici e dell’influenza politica, parve tutt’al più una convergenza casuale”.

Di Simone Morichini

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