Editoriali

Da predestinati a meteore: i grandi flop dello sport italiano (prima parte)

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Dall’aurora dell’alba al grigio dell’anonimato. Dalla speranza all’oblio. Da promessa a rimpianto. Ci hanno illuso, fatto sognare. Per poi perdersi, inesorabilmente, quasi accomunati tutti da uno stesso, beffardo destino.
Sono i ‘talenti’ dello sport italiano, fenomeni e vincenti nelle categorie giovanili, predestinati a grandi imprese, ma poi incapaci di sbocciare davvero nel mondo dei grandi. L’elenco, purtroppo, è molto lungo e prenderemo in considerazione solo i casi più eclatanti. A conferma di come sia questo il nodo cruciale della flessione dello sport tricolore nell’ultimo lustro: l’incapacità, per svariate cause (motivazioni, infortuni, sostegno economico, infrastrutture, etc.), di valorizzare i talenti che, evidentemente, non mancano. Non è un caso che molti degli atleti che citeremo nella rassegna sottostante abbiano realizzato le loro prestazioni migliori sotto i 20 anni. Pensiamo ad esempio a Dariya Derkach nell’atletica. Classe 1993, l’italo-ucraina ha iniziato a far parlare di sé fin dal 2010 come potenziale campionessa del salto in lungo e triplo. Nel 2013 l’apice della carriera, con l’argento europeo Under23 nel triplo. A quell’anno risalgono i suoi primati personali: 6,67 metri nel lungo, 13,92 nel triplo. Misure che nel biennio successivo, complice anche qualche infortunio, non è mai più riuscita ad avvicinare. A 22 anni i margini di crescita risultano ancora enormi e ci auguriamo che Derkach possa invertire la rotta intrapresa, anche se il trend negativo non induce all’ottimismo.

Vi ricordate di José Reynaldo Bencosme? Bronzo nei 400 hs ai Mondiali allievi, partecipa alle Olimpiadi di Londra 2012 a soli 20 anni, approdando in semifinale. Personale di 49″33, il futuro (sembra) suo. Poi una serie di infortuni a catena. L’italo-dominicano non gareggia ormai da tre stagioni e dovrebbe tornare ad assaporare le competizioni, salvo ulteriori imprevisti, il prossimo settembre.

Che dire poi di Daniele Secci (peso), Claudio Licciardello (400 metri), Anna Visigalli (alto), Roberta Bruni (appena 21enne e ferma ormai da troppo tempo dopo un 4,60 indoor nell’asta che lasciava presagire una scalata impetuosa), Eusebio Haliti (400 hs): tutte grandi promesse mai sbocciate, almeno per ora.

Ancora più eclatanti i casi del nuoto, dove tante, troppe volte i nostri portacolori nuotano tempi eccezionali a 18-19 anni, per poi non riuscire più neppure ad avvicinarli nel prosieguo della carriera. Edoardo Giorgetti ha dato il meglio di sé da under20, probabilmente favorito dall’era dei costumi in poliuretano. Argento agli Europei in vasca corta nel 2008, sesto ai Mondiali (senior) di Roma 2009 a soli 20 anni nei 200 rana. Gli albori di una carriera di trionfi? No, da allora un progressivo arretramento nelle gerarchie nazionali ed internazionali. Altro ranista di cui si sono perse le tracce è Flavio Bizzarri, campione olimpico (giovanile, ovviamente) nei 200 rana, oltre che oro europeo juniores sempre nella medesima distanza. Classe 1993, si tratta di un altro caso di nuotatore che ha dato il meglio di sé prima dei 20 anni, non riuscendo successivamente a progredire. Un esempio emblematico è quello di Lisa Fissneider: l’altoatesina fu oro nei 100 (1’07″71) ed argento nei 200 rana (2’26″01) ai Mondiali giovanili del 2011 a 17 anni. Nel quadriennio seguente, i personal best dell’azzurra sono rimasti identici. L’elenco dei talenti mai sbocciati comprende anche Cesare Sciocchetti, Mirco Di Tora, Davide Joseph Natullo e tantissimi altri.

Se atletica e nuoto possono definirsi gli sport dove è più marcata la difficoltà delle nuove leve a farsi strada nel mondo dei grandi, le stesse dinamiche si verificano in tante altre discipline, di cui parleremo nelle prossime puntate. Proveremo anche ad individuare le cause del principale problema che attanaglia lo sport italiano, incapace di rinnovarsi dopo i fasti del ventennio d’oro degli anni Novanta e Duemila.

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federico.militello@oasport.it

1 Commento

  1. alebi

    23 Luglio 2015 at 11:43

    Non sono molto addentro alle cose del nuoto ma ho sempre avuto l’impressione che i nostri junior fossero già molto spremuti, cosa che magari ti porta a fare la differenza nella categoria giovanile ma che poi non ti fa fare il salto di qualità da grande, perchè ormai i tuoi limiti li hai raggiunti e magari il tuo corpo non riesce nemmeno più a reggere i carichi di lavoro, figuriamoci aumentarli (spero di cuore che lo stesso non succeda alla Zenoni, in atletica, dato che è parecchio sviluppata rispetto alle coetanee).

    Un altro caso eclatante dell’atletica è la “famosa” generazione ’93 sui 400 piani. Qui non si tratta di non migliorare il proprio PB (magari ricorressero almeno certi tempi!) perchè invece c’è stata un’involuzione pazzesca. Poi la disciplina in generale sta soffrendo in tutta Italia a tutti i livelli e allora forse non abbiamo i tecnici adatti? Perchè non si decide di mandare tutti i ragazzi più promettenti a vivere l’esperienza NCAA, come tra l’altro fa la Gran Bretagna con molti suoi atleti di punta?

    Poi veniamo al discorso infortuni, che ci ha privati tra gli altri di Licciardello e, finora, di Bencosme (e ha menomato la carriera del più grande atleta che abbiamo mai avuto, Howe). Ma anche lì non si può attribuire il tutto alla sfortuna. E’ troppo semplicistico e tipico di chi ha un atteggiamento vittimistico. L’Italia è molto arretrata in termini di recupero fisico, fisioterapia e prevenzione e se a questo ci aggiungiamo che, purtroppo, tanti tecnici non si aggiornano, allenano con metodologie sbagliate, seguono pedissequamente il solito credo senza valutare cosa è meglio per ogni singolo atleta, si fanno scelte azzardate (caso Greco), scelte tecniche sbagliate (caso Milani) ecc ecc ecc… Ecco che non si riesce a valorizzare quello che madre natura ti offre. Poi i nostri atleti ci impiegano anni a riprendersi e tornare al livello precedente all’infortunio (figuriamoci migliorare), intanto l’età anagrafica va avanti e il corpo per forza invecchia e tu perdi il momento migliore della tua vita sportiva.

    Sia chiaro che non si cerca il super campione in ognuno di loro, si vorrebbe solo che fossero atleti capaci almeno di giocarsela, capaci di rendere sempre un minimo accettabile, ad ogni manifestazione e non una o due volte nell’intera carriera agonistica. Mi dispiace che questo discorso ogni volta tiri fuori tutto il mio astio, ma nasce tutto da un grande e sincero dispiacere, seguendo certi atleti fin da giovani e vedendo che puntualmente ad un certo punto arriva uno stop più o meno definitivo dispiace e fa riflettere.

    • ale sandro

      23 Luglio 2015 at 12:34

      D’accordo su tutto.
      Aggiungo che se fossi stato a Torino questo fine settimana,un salto per gli Assoluti l’avrei fatto volentieri, anche per constatare come una certa gestione svedese si sia poi rivelata,e le differenze rispetto a un passato italiano, dove il campione le ha subite di tutti i colori.

  2. Francesco III d'Este, duca di Modena

    22 Luglio 2015 at 23:45

    In tutta franchezza trovo prematuro e leggermente “scalognante” porre la Fissneider tra le meteore. La definirei semmai un sismografo: la sua carriera ha alternato finora picchi e sprofondi ad intervalli più o meno annuali. Non è del resto vero che dopo Lima i personal best sono rimasti uguali: nel 2013 agli europei di Herning ha stabilito due primati italiani in corta, di cui uno condito col quarto posto assoluto. L’anno dopo ha sfiorato un analogo record sui 50 m rana in vasca lunga, fissando un primato “sgommato” che ha resistito fino all’ultimo Sette Colli. Senza contare che gli sprofondi sono perlopiù da addebitare alla strabiliante mole di infortuni ed acciacchi che l’hanno colpita, unitamente a certe scelte tecniche del passato che a mio avviso sono deliranti (nell’ultimo quadriennio ha fatto pochissime gare, anche quando stava bene… e sempre a rana! Roba da mandare in pappa il cervello, e non solo quello…)
    Adesso mi pare che stia prendendo una strada agonistica che, a medio/lungo termine, la potrà portare ad una continuità ad alto livello che dovrebbe essere tranquillamente il suo pane quotidiano. Non sarà facile, ed è – ancora una volta – prematuro esprimere giudizi in questo momento. Ma confido che la semina, ancorché lunga e faticosa, porterà buoni frutti.

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