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Una Regina, un Cigno e una Cannibale. Tre donne rivoluzionano l’Italia e lo sport. Cagnotto, Kostner, Ferrari: il primo Mondiale di sempre

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Questa è la storia di una Regina, di una Cannibale e di un Cigno (i soprannomi storici, si prendano come si vogliono, amati od odiati). Tania Cagnotto, Vanessa Ferrari, Carolina Kostner. In rigoroso ordine alfabetico. Tre donne immense che hanno letteralmente rivoluzionato lo sport italiano nella loro rispettiva disciplina.

Prima del loro avvento mai, mai, mai l’Italia aveva conquistato un titolo mondiale in tre sport storici ma altamente complessi, concorrenziali, magari anche poco avvezzi ai colori azzurri: tuffi, ginnastica artistica, pattinaggio artistico. Guarda caso tre discipline che prevedono delle valutazioni soggettive (e sempre discusse) e che comportano eleganza, classe, femminilità, artisticità, bellezza.

Tre paladine meravigliose, con tre caratteri totalmente differenti uno dall’altro, ma accomunate dal minimo comun denominatore dello sport: la fame del successo. Esempi da cui attingere a piene mani, emblema della disciplina e della costanza, del non prendere questa passione con leggerezza.

 

Tre storie che più diverse non potrebbero essere ma che trovano due punti in comune: l’oro mondiale e, soprattutto, una rincorsa alla medaglia olimpica che sembrava stregata, sfatata solo dal Cigno di Ortisei capace di acciuffare il bronzo a Sochi 2014.

A Vanessa Ferrari e Tania Cagnotto è invece sfuggita per un nonnulla. La bresciana l’ha persa per l’assurda regola del “no-parimento”: a Londra 2012 ottiene lo stesso punteggio della russa Aliya Mustafina al corpo libero, ma il bronzo non le viene messo al collo perché le sue difficoltà sono superiori rispetto alla storica rivale. La bolzanina, invece, la perde per una manciata di centesimi in coppia con Francesca Dallapé nel trampolino sincro 3 metri. Due quarti posti che più amari non si può. Ci riproveranno a Rio 2016, l’ultima gara della carriera per entrambe che hanno già ufficialmente annunciato il proprio ritiro al termine della rassegna a cinque cerchi.

Tre belle ragazze, con le rispettive sfumature e le differenze dovute a tre fisici totalmente diversi richiesti dalla rispettiva pratica. Una molto aperta e conosciuta anche (e purtroppo) per vicende extra-ghiaccio (e non entriamo in merito), una figlia d’arte che ha saputo orgogliosamente fare meglio di un immenso papà e vincente in un modo assurdo (8 podi ai Mondiali, il palmares agli Europei è qualcosa di imbarazzante), una che ha dettato legge sapendo risorgere come un’Araba Fenice e facendosi apprezzare per quello che ha dato in pedana.

 

Una cronologia che in nove anni ha letteralmente stravolto lo sport italiano che, spesso e volentieri, si è aggrappato al cosiddetto gentil sesso per ottenere i suoi migliori risultati.

19 ottobre 2006, Aarhus (Danimarca). Mondiali di ginnastica artistica. Vanessa Ferrari, al suo primo anno da senior, quando non ha ancora spento le sue prime 16 candeline, ha l’occasione della vita tra le mani. È tra le super favorite per la conquista della medaglia d’oro, si ha concretamente il sentore che possa diventare la ginnasta italiana più forte di tutti i tempi, si presenta in pedana con l’appellativo di Cannibale di Orzinuovi (da lei mai amato) dopo aver dominato i Giochi del Mediterraneo della passata stagione. La statunitense Memmel, prima al termine del turno di qualificazione e Campionessa del Mondo in carica, si fa male la spalla durante la Finale a squadre.

Vanessa entrerà nell’epica più leggendaria. Cadrà dalla trave, vedrà sfuggirsi l’iride dalle mani, diventerà Campionessa del Mondo dopo un esercizio memorabile al corpo libero: “All’alba vincerò”. Sarà uno dei momenti più memorabili della Polvere di Magnesio azzurra scalfita tra le imprese di Jury Chechi, l’oro olimpico di Igor Cassina e qualcosa che ancora adesso sembra incredibile: il trionfo a squadre agli Europei 2006.

Mai prima d’allora una donna italiana aveva conquistato l’oro nel concorso generale individuale di ginnastica artistica, la gara più prestigiosa, quella che premia l’atleta più completa sui quattro attrezzi (oddio, non avevamo mai vinto nemmeno una Finale di Specialità ed eravamo fermi a due ingiallite medaglie alla trave ormai di mezzo secolo prima). E, ancor di più, l’Italia non aveva mai vinto un all-around iridato nemmeno tra gli uomini (ma si erano vinte le Specialità).

 

31 marzo 2012, Nizza (Francia). Mondiali di pattinaggio artistico. Carolina Kostner si presenta al programma libero, il suo punto di forza, con il terzo punteggio del programma corto: deve recuperare quasi 4 punti alla rognosa Leonova e quasi due alla Murakami.

Semplicemente incendierà il ghiaccio quando ancora la Ragazza di Fuoco non era così nota al Mondo. Un Cigno meraviglioso esalta anche il pubblico francese, manda in visibilio l’Italia e mette d’accordo tutti i giudici. Sarà meravigliosa Campionessa del Mondo con oltre cinque punti di vantaggio sulla russa.

Nella prova regina, quella femminile che ricalca l’essenza del pattinaggio artistico, l’Italia non aveva mai vinto un Mondiale. In coppia di danza c’erano riusciti gli immensi Barbara Fusar Poli e Maurizio Margaglio nel 2001 (imitati da Anna Cappellini e Luca Lanotte nel 2014).

 

28 luglio 2015, Kazan (Russia). Mondiali di nuoto (con tuffi e pallanuoto). L’impresa che non sogneresti mai. Le due cinesi sembrano imbattibili, a un livello mostruoso e quasi insuperabili. Tania Cagnotto può puntare al podio, memore di quanto successo a Barcellona 2013 quando l’oro le sfuggì per 10 centesimi di punti. Non questa volta, non quando le maestre dei tuffi sbagliano qualcosina mentre lei è bellissima, perfetta (tranne un’imprecisione sull’ultimo tuffo) e determinata a conquistare uno dei suoi grandi obiettivi: l’oro ai Mondiali da lei ritenuto valido quanto una medaglia olimpica.

Il trampolino da 1 metro è tutto suo. È lei a festeggiare portandosi sul podio le abbattute Shi Tingmao e He Zi. Lacrime di gioia che quasi non ti aspetti da lei, timida quanto determinata. Una persona e un’atleta squisita che ottiene quanto meritava.

Prima di lei una donna italiana mai, mai, mai aveva vinto un Mondiale di tuffi. Prima di lei solo il leggendario Klaus Dibiasi, per due volte (l’ultima nel lontano 1975), aveva portato l’Italia sul gradino più alto del podio. Sì quando su quei trampolini (e piattaforme) c’era anche Re Giorgio, il papà della Regina, lui fermatosi “solo” a un bronzo iridato ma capace di portare a casa gli allori olimpici.

Quelli che mancano a Tania, quelli che mancano a Vanessa, quelli che mancavano a Carolina. Quelli che meritano una Regina, una Cannibale e un Cigno, le eroine rivoluzionarie che “tra cinquant’anni chi se le scorda più”.

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