Seguici su

Calcio

Calcio: la continuità di Pellè contro l’estro di Balotelli. A chi la 9 dell’Italia?

Pubblicato

il

Un gol su punizione per tornare su tutti i giornali, ma soprattutto una partita generosa e attenta per dimostrare che forse – forse – nella vita non è mai troppo tardi per maturare. Restiamo scettici, ma il Mario Balotelli visto a Udine (e anche nel derby) potrebbe aver svoltato la sua carriera. O quanto meno è sulla strada giusta per farlo. A 25 anni sa di non poter più fallire, accetta la panchina ed è decisivo le volte in cui è impiegato. Di certo la buona volontà non manca a Supermario. Che, sempre più protagonista in Serie A, ora vuole lavorare anche per riprendersi la Nazionale. E quella maglia numero 9 vestita ai Mondiali in Brasile, terminati con un fallimento per cui Balotelli ha probabilmente subito critiche ingenerose.

Però, c’è un però. E’ un ostacolo in carne e ossa e non è neppure facile da abbattere visti i suoi 193 centimetri per 90 chili. Si chiama Graziano Pellè, l’attaccante del Southampton che ha conquistato il ct Antonio Conte in poco meno di un anno. Tre gol in sei presenze e al momento è lui il titolare sulla strada verso Euro 2016. L’idolo del St Mary’s Stadium è molto diverso dal Balotelli, giocatore e uomo, ma i due si ritroveranno per forza di cose rivali nella corsa – anche mediatica – a un posto dal primo minuto nelle prossime sfide dell’Italia. Il dibattito si accende: da una parte l’apprezzabile continuità, dall’altra l’estro di chi – le giocate parlano chiaro – è senza dubbio l’azzurro con più talento del decennio. Ma nel calcio i piedi non sono tutto: ecco perché non è così scontata una netta affermazione del rossonero.

Mario Balotelli, nato il 12 agosto 1990, ha bruciato le tappe con la maglia dell’Inter. Fisico fuori dalla norma, visione di gioco eccezionale, piede fatato e notevole carisma. In Primavera dominava i pari età, con Roberto Mancini è esploso neanche maggiorenne e con José Mourinho ha vinto una Champions League a meno di vent’anni. Tanti complimenti, ma anche molte critiche per un carattere difficile da gestire. Tutti ricordano la maglia nerazzurra gettata per terra dopo l’indimenticabile vittoria per 3-1 sul Barcellona, molti parlano di un successivo pesante alterco con Marco Materazzi, l’esempio più lampante dell’interismo in quegli anni. Roberto Mancini l’ha rivoluto con sé, a Manchester, dove Supermario ha conquistato l’invadente stampa inglese ma è anche risultato decisivo nel match che ha regalato al City un titolo atteso 44 anni con l’assist del definitivo 3-2 sul Qpr servito praticamente da terra al Kun Aguero. Nel febbraio 2013 è tornato in Italia, al Milan, trascinandolo prima alla Champions League (innescando un cambio di mentalità lampante nel 2-0 al Barcellona in Champions League) e poi al baratro dell’ottavo posto nella stagione successiva. A Liverpool un solo gol in campionato e zero ricordi, ora ancora il rossonero con un’ottima partenza e tante belle speranze.

Balotelli non è una prima punta, sebbene molte volte venga schierato in quella posizione più per le sue caratteristiche fisiche che tecniche. E’ un accentratore – il che spesso cozza con le idee di alcuni allenatori, soprattutto quelli vincenti – e alla lunga i suoi effetti sono stati sempre più negativi che positivi. Una tale presenza, in spogliatoio, rischia di ingombrare le altre. Da leader ha insomma sempre fallito: basti pensare a Brasile 2014 e alla triste fine dell’Italia di Cesare Prandelli che gli aveva affidato pieni poteri e la maglia numero 9. Un gol all’Inghilterra, due occasioni fallite contro la Costa Rica e il flop con l’Uruguay. Spesso sì solo, ma mai dinamico e utile a una squadra comunque sulle ginocchia. Adesso Sinisa Mihaijlovic sta provando un’altra strada, mai tracciata finora con insistenza: giù Supermario dal piedistallo. Via anche il super, Mario è solo Mario. Un calciatore, padre, che vuole ripartire. Testa sulle spalle, piedi sempre vellutati, capacità di stordire gli avversari e carattere da tenere costantemente sotto controllo. Durerà?

Dall’altro lato c’è Graziano Pellè, nato il 15 luglio 1985 e cresciuto a Lecce. Anche lui vincitore di due scudetti consecutivi in Primavera, anche lui esterofilo dopo le parentesi di Catania, Crotone e Cesena. E’ l’Eredivisie olandese a stregarlo, prima ad Alkmaar (tante presenze, pochi gol, un campionato vinto) e poi a Rotterdam. Louis Van Gaal e Ronald Koeman sono i suoi maestri di vita e di calcio, al Feyenoord ha raccolto qualcosa come 55 reti in 66 partite ufficiali. Eppure in Italia erano ancora in pochi a conoscerlo. Negli occhi dei più attenti c’è il cucchiaio su rigore realizzato al Portogallo nell’estate 2007 con la maglia dell’under 21: spareggio vinto e qualificazione a Pechino 2008. Tra Parma e Sampdoria non aveva il segno, ma comunque i blucerchiati erano subito risaliti in Serie A dopo un anno di purgatorio in B. Serviva l’esplosione in un campionato top per consacrarlo definitivamente anche agli occhi della nazionale. E l’occasione arriva a Southampton, nel sud dell’Inghilterra: 16 gol in 44 partite nel 2014-2015, il titolo di giocatore del mese di settembre in Premier League e una rovesciata che rimarrà a lungo negli annali. In questa stagione è già partito forte: 6 centri in 10 gare, tra cui la doppietta segnata domenica scorsa al Manchester United nel ko casalingo per 2-3. Purtroppo, però, i Saints sono stati subito eliminati dall’Europa League, traguardo raggiunto anche e soprattutto grazie ai gol dell’azzurro.

Bomber d’area di rigore, Pellè ricorda per molti aspetti da vicino Filippo Inzaghi. Non a caso, nella moria di attaccanti che sta passando ora la nazionale italiana, si è ritagliato subito un ruolo da protagonista. Il motivo è semplice: la butta dentro. Anche di mano, come successo qualche settimana fa contro Malta. Sa dove finirà la palla, sa come muoversi, gioca sul filo del fuorigioco e dialoga al meglio con i compagni. Ma rispetto all’ex centravanti del Milan ha qualcosa di più: un fisico notevole, una stazza imperiosa e la capacità di dominare letteralmente l’area di rigore. Fa paura, Graziano Pellè, perché non è neanche così lento e impacciato come potrebbe sembrare. Anzi, è molto agile e ha grande senso dell’anticipo. E soprattutto tira benissimo con entrambi i piedi: destro e sinistro, oltre ovviamente al colpo di testa. Un ariete degli ultimi 16 metri utile come il pane per qualsiasi allenatore.

Antonio Conte, che aveva costruito la sua Juventus dei tre scudetti consecutivi proprio sulla forza fisica e l’intensità degli interpreti, ha subito trovato in Graziano Pellè il finalizzatore ideale per il proprio gioco. E finora l’attaccante del Southampton ha ripagato in pieno la fiducia del ct. Qualcuno però mugugna: è lo specchio di una Nazionale in crisi. Vero? Forse, non del tutto. In un momento storico di vacche magre, che colpa può avere il migliore a sfruttare le occasioni concesse e gli spazi lasciati liberi dalla concorrenza? Piuttosto i problemi riguardano gli altri, possibili papabili ma sempre assenti, capofila dell’infinita serie dei “potrei ma non voglio“. Tra cui, ovviamente, c’è Mario Balotelli. La sua possibile rinascita però rischia di spiazzare: a chi la maglia da titolare? Lo vedremo fin dalle partite con Azerbaigian e Norvegia, le ultime del girone di qualificazione a Euro 2016. E vogliamo lanciare una proposta: perché non schierarli insieme in un ipotetico 3-5-2? Con la qualità del bresciano e il fiuto del gol del leccese, tutti sarebbero contenti e ne potrebbe giovare l’intera nazionale. Tatticamente la coesione è possibile.

 

Clicca qui per mettere “Mi piace” alla nostra pagina Facebook
Clicca qui per iscriverti al nostro gruppo
Clicca qui per seguirci su Twitter
Clicca qui e metti mi piace alla pagina “La storia dell’Italia nelle fasi finali di Mondiali ed Europei

francesco.caligaris@oasport.it

Twitter: @FCaligaris

Foto da: goal.com

Clicca per commentare

Tu cosa ne pensi?

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Pubblicità

Dalla Home

Pubblicità

Facebook

Pubblicità