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I mali del rugby italiano: un decennio di calciatori senza gloria, tra sfortuna e superficialità

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Dei tanti problemi che affliggono il rugby italiano nell’ultimo decennio, probabilmente, si tratta di quello più evidente. Non perché sia il più importante rispetto agli altri, ma perché ha raggiunto un livello di mediatizzazione sempre più alto nel corso degli anni, a causa della palese incapacità del movimento nostrano di sopperire ad un ormai cronico difetto della palla ovale azzurra. E anche perché, spesso e volentieri, senza un calciatore solido ed affidabile l’Italia ha lasciato sul piatto partite talvolta anche piuttosto importanti. Qualche esempio? La famosa Italia-Scozia dei Mondiali 2007, Italia-Inghilterra del Sei Nazioni 2012 sotto la neve e  il test match contro l’Australia nel novembre 2012. Ma la lista sarebbe anche ben più lunga.

La spasmodica ricerca del ‘nuovo Dominguez’, insomma, ha prodotto risultati piuttosto negativi dal momento del ritiro della stella italo-argentina, in una sorta di maledizione per chiunque abbia provato a vestire la maglia numero 10 e soprattutto per chiunque abbia ricevuto in dote la responsabilità di essere il piazzatore della nazionale. A nessuno, naturalmente, si chiedeva di essere come il celebre Dominguez, ma quantomeno di riuscire a trasformare in oro (e punti) la conclamata superiorità della mischia azzurra soprattutto ai tempi d’oro della stessa. E in tanti, durante la loro esperienza azzurra, hanno anche mantenuto buone percentuali dalla piazzola, ma senza riuscire mai a trascinare la nazionale per mancanza di continuità personale e di fiducia da parte degli allenatori. I nomi si conoscono bene: si inizia da Ramiro Pez fino ad arrivare a Luciano Orquera, passando (in ordine sparso) per Andrea Marcato, Kris Burton, Riccardo Bocchino, Andrea Scanavacca, Tobias Botes e Steven Bortolussi. C’è anche chi, come Mirco Bergamasco, stava interpretando nel migliore dei modi le pesanti responsabilità di piazzatore dell’Italrugby, ma ha dovuto dire addio alla Nazionale per quel brutto infortunio del novembre 2012 contro l’Australia. Un tabù ormai decennale (ma i progressi di Tommaso Allan sono innegabili), che non fa altro che appesantire la spada di Damocle su tutti i neofiti del ruolo. Pensare soltanto ad una maledizione, tuttavia, è deleterio. Anzi. D’altronde, se negli anni nessuno è mai riuscito a conquistarsi con decisione questo ruolo non può essere soltanto per demeriti propri o, banalmente, per sfortuna.

La formazione e lo sviluppo dei giocatori è uno degli aspetti più controversi del rugby italiano anche in questo senso, ovvero nell’acclarata superficialità nel dare la giusta impostazione ad un futuro piazzatore. E no, qui non si parla soltanto di Accademie, perché soprattutto nelle due franchigie celtiche spicca l’imperdonabile assenza di un allenatore esclusivamente dedicato a questo settore, una figura teoricamente fondamentale in uno staff tecnico di una squadra professionistica. Eppure, in Italia il kicking-coach non è ancora contemplato, nonostante si avverta sempre di più la necessità di seguire con cura ed attenzione i calciatori in rampa di lancio, in particolare i due numeri 10 delle Zebre Edoardo Padovani e Carlo Canna. Per la serie de “l’erba del giardino è sempre più verde”, invece, a Perpignan il già citato Allan vive una situazione ben diversa, con una maggiore cura dei dettagli per quanto riguarda il proprio calcio. I miglioramenti messi in mostra dall’esordio in maglia azzurra a fine 2013 al recente Mondiale, d’altronde, sono evidenti soprattutto nella tecnica, non propriamente naturale ma comunque molto più efficace rispetto agli esordi. Prima della Coppa del Mondo, inoltre, l’italo-scozzese ha anche dichiarato di affidarsi ad un tecnico ‘privato’ per migliorare la meccanica del calcio e la confidenza dalla piazzola, per avvertire sempre meno pressione. L’attuale titolare della 10 azzurra è sulla buona strada insomma, ma vista la tradizione perdersi appare piuttosto facile. Il Bel Paese, però, non può più permettersi errori in tal senso, considerando il difficile momento storico della Nazionale e l’evidente sterilità offensiva azzurra. Urge un piazzatore a cui aggrapparsi: la Romania ha Vlaicu, la Namibia ha Kotze, l’Uruguay ha Berchesi, la Georgia ha Kvirikashvili, le Fiji hanno Nadolo e il Giappone ha un cecchino come Goromaru. L’Italia può avere Allan, ma deve metterlo nelle condizioni adeguate.

– I MALI DEL RUGBY ITALIANO (PRIMA PARTE): LE ACCADEMIE NON SFORNANO TALENTI

– I MALI DEL RUGBY ITALIANO (SECONDA PARTE): ECCELLENZA E PRO12, L`ALTO LIVELLO NON FUNZIONA

– I MALI DEL RUGBY ITALIANO (TERZA PARTE): MANCANZA DI COMUNICAZIONE E ALLENATORI LASCIATI SOLI

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