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Ciclismo
Dalle “ruote grasse” alla strada: in quanti hanno cambiato?
Non sono pochi, nel ciclismo contemporaneo, i casi di atleti che crescono con la mountain bike e procedono poi nella propria carriera nel ciclismo su strada, anche perché quest’ultimo offre, perlomeno nel settore maschile, opportunità economiche sicuramente migliori. Gli ex biker si riconoscono da una particolare maestria nel condurre la bicicletta: se l’attività su pista può aiutare il futuro stradista, ad esempio, a districarsi meglio nelle volate o ad acquisire un particolare feeling per le prove a cronometro, quella off-road permette di assumere una sicurezza nella conduzione davvero con pochi eguali.
Certo, alcuni mantengono la “doppia attività” senza troppi problemi, come nel caso di Eva Lechner – che si divide addirittura in tre – affrontato pochi giorni fa: proverà a seguirla Alessia Bulleri, ventiduenne dell’Elba che affiancherà al cross country le gare su strada grazie al recente tesseramento per l’Aromitalia-Vaiano-Fondriest. E un capitolo a parte lo meriterebbe Pauline Ferrand-Prèvot, che gareggia e vince nelle tre discipline dell’altoatesina come invece non riesce a Marianne Vos la cui esperienza sulle ruote grasse, pur fondamentale a livello giovanile, non ha poi trovato degna prosecuzione tra le élite. Lo stesso Nino Schurter ha provato nel 2014 un’esperienza poco soddisfacente con la Orica, mentre Jolanda Neff, quarta al Giro dell’Emilia, sembra avere maggiore predisposizione per il mantenimento di entrambi i settori.
Nell’ambito maschile, comunque, sembra di gran lunga predominante la decisa cesura tra mountain bike e strada. In tanti crescono sugli sterrati e poi preferiscono le eredi delle vecchie palmerine: in questo figurano nomi estremamente importanti. A partire da Cadel Evans, vincitore di due edizioni della Coppa del Mondo di mtb (1998-1999) prima di vestirsi del rosso Saeco per iniziare una carriera che lo ha portato a vincere un titolo mondiale, un Tour de France e una Freccia Vallone. Un altro nome che balza immediatamente all’occhio è Ryder Hesjedal: due ori iridati nella staffetta offroad, un’indimenticabile Giro d’Italia nell’edizione 2012. Sebbene il palmarès non sia il medesimo, lo svedese Fredrik Kessiakoff è passato da un bronzo mondiale, bissato negli Europei, in mountain bike ad una carriera professionistica che lo ha portato al massimo a vincere un paio di cronometro tra Vuelta e Giro di Svizzera.
A livello giovanile ha invece interrotto la propria attivati per sentieri e boschi Peter Sagan, che pure nel 2008 vinse tanto il titolo continentale quanto quello iridato nella categoria juniores: eredità di queste vittorie è senza dubbia la sua capacità di fare acrobazie con la bici da corsa, con la quale, com’è ben noto, ha un meraviglioso rapporto che gli ha regalato anche il recentissimo Mondiale di Richmond.
Tra gli italiani, il nome più emblematico è probabilmente quello di Dario David Cioni, toscano di origine britannica che vinse un argento iridato nella categoria under 23 tra le ruote grasse: nel professionismo, dieci anni di avventura iniziata in Mapei e conclusa in Sky gli ha portato in dote un titolo nazionale a cronometro e un prestigioso quarto posto nella classifica finale del Giro d’Italia 2004.
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foto: Giro d’Italia
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marco.regazzoni@oasport.it