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Golf: c’era una volta Matteo Manassero…

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Era il 26 maggio 2013. A Wentworth, in Inghilterra, la stella italiana più luminosa nel firmamento golfistico irradiava il prestigioso percorso del Surrey con una prestazione sensazionale. Matteo Manassero, a soli 20 anni, si laureava campione nel BMW PGA Championship, il principale torneo sul calendario dell’European Tour. L’ulteriore prova (se mai ce ne fosse bisogno allora) delle immense qualità dell’azzurro e della sua irrefrenabile ascesa, cominciata nel 2010 a poco meno di 17 anni e apparentemente destinata a portarlo nell’élite del golf mondiale. E con quella vittoria di fatto il veronese vi era entrato di prepotenza. Del resto, tutto lasciava presagire ad una scalata costante nelle gerarchie europee e globali: il gioco sopraffino, l’eccezionale solidità mentale per un ragazzo adolescente fino a qualche tempo prima, la continuità di risultati, un palmarés già straordinario e la posizione numero 25 raggiunta nel ranking. Andava tutto a gonfie vele. Andava, per l’appunto.

La crisi che Manassero sta affrontando da ormai due anni e mezzo a questa parte è nota, anche perché la scomparsa dai radar del talento invidiato all’Italia da tutto il mondo non poteva certamente passare inosservata. Al 22enne veneto, a fine 2015, sono rimaste soltanto le quattro vittorie messe in fila tra il 2010 e il 2013 sul circuito europeo, qualche record di assoluto prestigio (più giovane a vincere sul Tour, più giovane a vincere a Wentowrth) e nulla più. Se il 2014 poteva essere visto come un’annata interlocutoria e di transizione per svariati motivi, la stagione appena conclusa ha fatto crollare tutte le residue certezze di Manny, In ventidue tornei giocati, Manassero ha superato il taglio soltanto sei volte (!!!), racimolando appena 91.764 punti in una Race to Dubai terminata tristemente e malinconicamente al 167esimo posto. Il miglior piazzamento? Un misero 18esimo posto in Cina. L’italiano ha evitato la giungla della Qualifying School (sei round in cui accedono al Tour i primi 25 e pari meriti) soltanto per l’esenzione di due anni che porta in dote la vittoria del PGA Championship inglese, perché difficilmente avrebbe superato lo scoglio del torneo di qualificazione per riconquistare la carta. Nel 2016, insomma, Manassero non potrà più permettersi passi falsi, per non sprofondare addirittura nel Challenge Tour. E’ già crollato in maniera verticale, invece, la sua classifica mondiale, significativa come non mai nel golf a differenza di molti altri sport. Dal 26esimo posto sopraccitato, il veronese è precipitato alla posizione numero 607, facendosi scavalcare anche da Renato Paratore nonostante il romano fosse alla prima stagione da professionista. Numeri freddi, crudeli ma maledettamente esemplificativi.

I risultati di Matteo Manassero nel 2015. Spiccano i tanti tagli mancati

Le radici di questa clamorosa inversione di marcia affondano non solo negli aspetti puramente tecnici, ma in qualcosa di ben più grande che Manassero, probabilmente, non aveva previsto nella sua spensierata (e vincente) gioventù. In un’intervista rilasciata a La Repubblica, lo scorso 4 aprile, Matteo non aveva tirato in ballo soltanto la sua piccola ‘rivoluzione’ sul campo, con cui puntava ad affinare il drive per adeguarsi ad un golf sempre più potente ed esplosivo, non azzeccando evidentemente modi e misure: Tutto è iniziato con problemi tecnici: ho dovuto cambiare lo swing per allungare la gittata dei tiri, ho iniziato a sbagliare qualcosa di troppo e ho perso in sicurezza”. Errori di calcolo fatali, che ne hanno minato non solo il rendimento ma anche quella solidità psicologica che lo aveva contraddistinto fin da ragazzino. Ma non solo, perché l’intervista prosegue e Manassero arriva di fatto al nocciolo della questione. “Io sono cresciuto, sia chiaro per mia scelta, a pane, acqua e golf […] La vita però non è il golf. Il golf ne è una buona parte, che continuo ad amare alla follia, ma c’è anche altro da fare. Non ho avuto un’adolescenza: non andavo in discoteca, vedevo pochissimo gli amici, la fidanzata era una golfista. Adesso sono single, sono andato a vivere da solo, e a ballare ci vado. Faccio anche cose che forse avrei dovuto fare anni fa”. Il veronese si era detto poi fiducioso del “suo prossimo ritorno”, ma il percorso di ‘guarigione’ è stato tutt’altro che finito. Anzi. Probabilmente dovrà ancora iniziare.

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Credit Valerio Origo

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