Rugby
Il 2015, l’annus horribilis del rugby italiano
Il rugby italiano può tirare un sospiro di sollievo. Non per eventuali risultati ottenuti dentro e/o fuori dal campo, ma semplicemente perché il 2015 sta per volgere al termine. L’occasione ideale, per tutto il movimento, per lasciarsi alle spalle un annus horribilis come mai era accaduto nella storia recente della palla ovale azzurra. Da salvare, di fatto, c’è ben poco. Anzi. Quasi nulla (perlomeno le Zebre stanno crescendo). Il resto, invece, è da rifondare, Tutto. Dal sistema delle Accademie passando per la filiera che porta fino alla nazionale, passando per il Benetton Treviso, per l’Eccellenza e per il modus operandi della Federazione, a dir poco rivedibile nel corso dei mesi. I mali del rugby italiano non avevano bisogno di casse di risonanza (o forse sì?) per essere amplificati ai massimi livelli, ma nel corso dei mesi non hanno fatto altro che susseguirsi disastri su disastri. Il Sei Nazioni ha fatto registrare due record negativi, ovvero la prima partita in casa persa senza segnare un punto (vs Francia, 0-29) e la sconfitta casalinga più larga in quindici anni (20-61 vs Galles); nel ritiro pre-Mondiale di Villabassa sono emersi tutti i contrasti tra giocatori e FIR; alla Coppa del Mondo la nazionale ha poi confermato di essere pesantemente regredita nel corso degli anni e, oltretutto, di avere al timone un Jacques Brunel sempre meno coinvolto. Dalle innumerevoli contraddizioni del movimento OA Sport ha tratto un dossier che entra a fondo nelle maglie dei tanti problemi italici, esaminandoli sotto la lente d’ingrandimento. Ve lo riproponiamo.
PRIMA PUNTATA – LE ACCADEMIE: TROPPE E CON TROPPE INCOGNITE
Il nostro viaggio è partito dalle Accademie, una parola che già di per sé crea divisioni e contrasti all’interno del panorama rugbistico italiano. La proliferazione di queste scuole ovali, d’altronde, è sotto gli occhi di tutti e i benefici sono (e saranno) tutt’altro che scontati per quanto riguarda lo sviluppo e la formazione dei giocatori, vuoi per la distribuzione non impeccabile sul territorio, vuoi perché gli educatori spesso non possiedono le giuste competenze per insegnare rugby.
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SECONDA PUNTATA – PRO12 ED ECCELLENZA, UN FLOP TIRA L’ALTRO
L’ingresso nella lega celtica, avvenuto ormai cinque anni, non sta portando i benefici sperati. Anzi. Gli Aironi prima e le Zebre poi insieme al Benetton Treviso non hanno ottenuto alcun risultato di rilievo e l’unica annata positiva dei veneti (2012/2013) è stata di fatto gettata alle ortiche nelle stagioni successive. Il Pro12, poi, ha portato alla debacle dell’Eccellenza, abbandonata a se stessa e ridotta ai minimi termini, sia da un punto di vista tecnico che commerciale.
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TERZA PUNTATA – LA SOLITUDINE DEI CT AZZURRI E UNA PIRAMIDE SENZA COLLEGAMENTI
Un altro problema atavico del rugby italiano, già sottolineato da Nick Mallett ai tempi e in cui Jacques Brunel è rimasto infischiato fino al collo: la mancanza di collegamenti e di affiatamento tra i vari livelli del rugby italiano (Accademie, Eccellenza, Pro12, nazionale). Lo spazio per un vero Director of rugby, insomma, non sembra mai esserci (ma lo stesso Brunel non ha fatto molto per provare a ritagliarselo).
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QUARTA PUNTATA – UN DECENNIO DI CALCIATORI SENZA GLORIA
Quando si parla di Italrugby inevitabilmente si parla anche di numeri 10 e di piazzatori, specie dopo l’addio di Diego Dominguez. Al ritiro dell’italo-argentino non ha mai fatto seguito un calciatore affidabile e costante nel tempo, sia per sfortuna che soprattutto per superficialità, vista l’assenza di un kicking coach sia nelle franchigie che in nazionale.
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QUINTA PUNTATA – GAP CULTURALE E MANCANZA DI TRADIZIONE
Che l’Italia non sia indietro soltanto in campo è sotto gli occhi di tutti. Il gap con le altre squadre è soprattutto fuori, per via delle mancanza di una cultura rugbistica ben radicata nel Bel Paese che il solo Sei Nazioni non ha potuto sviluppare al meglio.
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Credit FotosportIT/FIR