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Il Rugby ‘dal basso’ visto da Nicola De Cilia

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I recenti mondiali di Rugby disputati in Inghilterra, l’abbandono dalla scena agonistica di una colonna della Nazionale italiana come Mauro Bergamasco e la precoce scomparsa del mito neozelandese Jonah Lomu sono solo alcuni degli eventi più noti accaduti nelle ultime settimane nel mondo della palla ovale. Non c’è dubbio che anche nel Bel Paese, terra di poca tradizione di gioco a XV rispetto ad altre squadre europee o a quelle dell’emisfero Sud, si siano mosse le cose seppur i risultati siano ancora poco incoraggianti se pensiamo alle recenti edizioni del “Six Nations”. Ma cosa accade realmente nel variegato universo del rugby italiano partendo dai campetti di periferia per arrivare alle più prestigiose squadre nazionali? Come mai, nonostante la carenza di soddisfazioni per gli appassionati azzurri, la palla ovale continua a conservare il suo fascino presso il pubblico?

Per provare a dare delle risposte a questi interrogativi e “per ascoltare i tanti protagonisti, le voci spesso non ufficiali, della palla ovale italiana”, il professore trevigiano Nicola De Cilia ha condotto un’interessante inchiesta sul rugby nostrano condensando le sue ricerche nel libro Pedagogia della palla ovale. Un viaggio nell’Italia del rugby (Edizioni dell’Asino, 2015, 12 euro). La filosofia che sottende tutte le pagine di questo volume è che il rugby è una disciplina con una forte componente etica ispirata a modelli di educazione anglosassone, uno sport duro ma giocato con lealtà da piloni, ali e flanker. Ed è questo mix di forza fisica, tecnica individuale e rispetto delle regole a essere apprezzato da praticanti e appassionati; che poi, a ben vedere, è la stessa “benzina” che ha mosso l’autore durante l’ideazione e la redazione del libro, come afferma lui stesso: “La passione, anche senile, è un propellente straordinario, e se ‘spesso conduce a soddisfare le proprie voglie’, porta anche ansia di conoscenza, desiderio di sapere. Ho pensato che coniugare l’amore per il rugby con la mia passione pedagogica potesse trasformarsi in qualcosa di utile, non solo per me”.

Pedagogia della palla ovale si articola in diversi capitoli e alcune osservazioni rivestono una grande importanza per l’acutezza dell’analisi, la lucidità espositiva e il giusto distacco dall’argomento. In primo luogo il sistema federale delle Accademie, spesso finite nel tritacarne della polemica giornalistica, dove viene evidenziato come “l’Italia [sia] piena di talenti, ma è difficile che emergano perché non ci sono le infrastrutture, non ci sono gli allenatori, non c’è la voglia di investire. E investire vuol dire soprattutto ragionare su un progetto a lungo termine”. In secondo luogo, l’interessante approfondimento riguardante l’organizzazione del settore giovanile di alcune realtà rugbistiche come Capitolina, Tarvisium e Valsugana. In terzo luogo, la grande carica sociale del rugby specie nel capitolo dedicato ai progetti di integrazione del quartiere di Catania Librino dei Briganti, al ruolo della Partenope nella difficile situazione di degrado di Scampia e al coinvolgimento in programmi di recupero dei carcerati dei penitenziari di Beccaria e Bollate. Infine, non viene dimenticato il mondo del rugby femminile che, al contrario del settore maschile, sta regalando qualche soddisfazione in più all’Italia in campo internazionale.

La chiusura del volume di De Cilia è affidato al racconto I 400 folpi del noto attore veneziano Marco Paolini, trascrizione dello spettacolo teatrale Aprile ’74 e 5. Le pagine di De Cilia ci restituiscono così un aspetto fondamentale del rugby ossia la sua forte dimensione sociale. Emerge il profilo di uno sport che diventa coinvolgente anche per chi si avvicina per la prima volta al terreno di gioco in quanto ha una carica educativa nei rapporti con gli avversari in campo, nei riguardi delle decisioni dell’arbitro e per l’entusiasmante ambiente di gioco. Com’è stato correttamente sottolineato, il libro di De Cilia è un preziosa testimonianza “dal basso” del rugby gettando una luce sui settori giovanili, sulle Accademie ma anche sulle realtà più sperdute della Penisola. E su tutto, la filosofia più profonda della palla ovale: “Nel rugby […] convivono diversi elementi, tali da renderlo uno sport pressoché completo: mette insieme il gioco di squadra, il contatto, la velocità, l’agilità e la forza; utilizza concetti come sostegno, sacrificio, fiducia reciproca; lascia spazio per ogni tipo di fisico: dai possenti piloni agli agili mediani di mischia, passando per le robuste terze linee e le ali veloci. Gioco duro, ma leale, in cui non si possono contestare le decisioni arbitrali, più per mentalità che per regolamento; e dopo la partita, il terzo tempo, in cui trionfa la convivialità e l’amicizia tra le squadre avversarie, arbitro compreso”.

Simone Morichini

Foto: Valerio Origo

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