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Storia delle Olimpiadi: Norberto Oberburger, l’impresa epica dell’Ercole di Merano a Los Angeles ‘84

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Il 7 agosto del 1984 Norberto Oberburger conquistò la medaglia d’oro ai Giochi estivi di Los Angeles…nella scherma? Nel ciclismo? Nell’atletica? Nient’affatto. L’Ercole di Merano sbaragliò tutta la concorrenza della categoria fino a 110 kg, sollevamento pesi. Sì sì, avete letto bene. Oberburger entrò di diritto, immediatamente, nel gotha leggendario dello sport italiano poiché uno degli appena cinque atleti azzurri capace di conquistare una medaglia forgiata con il metallo più prezioso nella disciplina più “pesante” dei programmi olimpici.

Norberto, divenuto padre tre giorni prima della gara che lo avrebbe reso immortale, conquistò l’oro con un totale di 390 kg sollevati (175 kg di strappo e 215 kg di slancio), precedendo di ben 10 kg il secondo classificato, il rumeno Stefan Tasnadi. Il gallese Gary Taylor, tra i rivali più pericolosi, si arenò sui 202,5 kg dello sancio, mentre l’ultimo brivido lo provocò il colosso di casa Guy Carlton il quale, non appagato dal possibile argento, tentò il tutto per tutto a 225 kg. Ma l’impresa che gli avrebbe consentito di superare l’azzurro per 2,5 kg non gli riuscì nonostante il grande incitamento del pubblico statunitense.

Si trattò di un successo eccezionale, storico, da non sminuire con la “scusa” dell’assenza dei pesisti del blocco sovietico: erano 60 anni che un italiano non saliva sul gradino più alto del podio olimpico e, dopo l’altoatesino, nessun altro nostro connazionale è riuscito a mettersi al collo una medaglia del sollevamento pesi ai Giochi.

L’inarrivabile maestro Gianni Brera commentò così l’impresa di Oberburger.
“Splendido ed imponente. Lui e non altri immagino che avrebbe voluto a modello il celebre Fidia per scolpire le esagerose fattezze di Ercole… Immerge le mani nel cratere del talco, se le imbianca quasi compisse una precisa funzione liturgica, sacrale. Poi si avvicina al bilanciere e lo guarda senza apprensione, però con intenso rispetto. Infine si curva ad abbracciare il manico: aggiusta le prese, solleva fino al petto qui subdoli cerchi di ghisa, non meno pesanti di una vitella di un anno, e siede sui talloni affidandosi alla sola forza degli arti inferiori. Il peso sale ora per forza di cosce possenti. Le enormi braccia vengono tese e tremano, sollecitate allo stremo. L’omone rischia la vita, ma noi tutti ammiriamo il suo coraggio temerario, la tensione vibrante del suo corpo fidiaco. Interminabili secondi vengono scanditi dal nostro cuore che batte, non dal respiro, che tratteniamo quasi sgomenti. Poi il tonfo liberatore dei pesi sul piancito. Le braccia sollevate in un estremo omaggio a Ercole semidivino…”.
Inutile aggiungere altro.

 

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