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Ginnastica, Olimpiadi 2016 – Regolamento da rivedere? Non c’è spazio per i più forti, bassi punteggi e contraddizioni

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Quanto successo al Test Event 2016 di ginnastica artistica ha ulteriormente acceso il dibattito sul meccanismo di qualificazione alle Olimpiadi. Tema sempre al centro della discussione e su cui spesso e volentieri non si riesce mai a trovare un punto incontro tra le varie parti.

Sono sostanzialmente due gli aspetti su cui si è riflettuto parecchio nel weekend di Rio de Janeiro, due fatti che hanno fatto storcere il naso a parecchi appassionati: la Romania sarà assente con la propria squadra dopo 40 anni consecutivi sempre sul podio a cinque cerchi, troppe ginnaste ammesse all’evento sportivo più importante nonostante punteggi davvero molto bassi (è bastato un pessimo 49.598 ad Ailen Valente).

Le Olimpiadi dovrebbero essere l’appuntamento dove si affrontano le migliori ginnaste del Pianeta e invece, come capita anche in molti altri sport, si continua a prediligere uno strano criterio che vuole il maggior numero possibile di Paesi al via della competizione. Il tutto in barba ai reali meriti tecnici e senza prendere in considerazione lo spettacolo: fidatevi che gli occhi del pubblico non finiranno mai su chi non è al top del circuito. Sarà pur vero che una partecipazione olimpica aiuta tutto il movimento di quel Paese a crescere ma questa non può essere la soluzione da perseguire.

Fa sempre effetto, ma ormai è un ritornello che si ripete ogni quattro anni, che alcune big internazionale debbano rimanere a casa a scapito di atlete nettamente inferiori a loro. Si sono tagliate le squadre per dare maggior spazio agli altri Paesi ma il livello medio non si è alzato. In più qualche ottimo specialista, magari che per sfortuna non è riuscito a salire sui podio ai Mondiali 2015, è dovuto rimanere a casa obbligatoriamente perché non supportato da una buona squadra e perché non particolarmente brillante nel concorso generale (successe a Berki in passato, questa volta anche a Matteo Morandi).

 

Sia chiaro anche che la scelta di portare le formazioni da 6 a 5 atlete è stata effettuata anche perché sono davvero pochissime le Nazioni che potevano vantare un bacino così ampio da sostenere una gara con così tanti elementi. La decisione di ridurre addirittura a 4 in vista di Tokyo 2020 va proprio in questa direzione anche se, ed è inutile negarlo, è stata rovinata la gara più affascinante (e importante) dell’intero movimento, quella dove è tutta la Nazione a sfidare le avversarie per la gloria della propria bandiera.

Tra quattro anni le migliori Nazionali o, meglio, quei Paesi che hanno diverse ginnaste di spicco, potranno portare anche sei atlete alle Olimpiadi: quattro con le squadre e due individualiste (specialiste o all-arounder), seguendo due percorsi di qualificazione ben differenti tra loro.

Ad esempio la Romania non sarebbe aggrappata solo a Larisa Iordache ma avrebbe anche potuto schierare Catalina Ponor, rientrata apposta per i Giochi ma rimasta con un pugno di mosche in mano. Magari un format di gara differente potrebbe lasciare spazio a delle sorprese, facendo magari emergere movimenti non così profondi ma che hanno quattro atleti di spicco.

 

Questi, però, sono dei dettagli a margine. Il succo del discorso è che le Olimpiadi sono sì la culla della sportività e dell’universalità ma in mondo sempre più professionistico e competitivo è un peccato lasciare a casa dei fenomeni per queste logiche da gara provinciale. Con il massimo rispetto di ginnaste che si impegnano al massimo, che ce la mettono tutta per raggiungere questi traguardi, che sognano tutta la vita i cinque cerchi. Lo sport, però, deve avere delle gerarchie tecniche e competitive: dure quanto si vuole, ma specchio rigoroso di quanto succede nella quotidianità.

Certo il fascino di vedere le bandiere di Giamaica, Trinidad & Tobago, Cuba e compagnia non è indifferente ma forse sarebbe meglio qualche esercizio di maggior spessore. Mettiamoci nei panni della sesta statunitense che rimarrà a casa, magari capace di fare 6-7 punti in più di chi invece sarà a Rio solo per fortuna di passaporto. Sì, forse bastava emulare la Dickson che ha accettato l’invito della Bielorussia ma lo sport non può diventare un mercimonio.

Teniamo tra l’altro presente che la Federazione Internazionale ha dovuto fare scelte obbligate e anche discutibili perché il Comitato Olimpico Internazionale ha messo a disposizione solo 98 posti per la ginnastica artistica. Non sono pochi, andrebbero solo usati meglio.

 

 

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