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Storia delle Olimpiadi: Alberto Braglia, il “garzone di Modena” imbattibile in pedana e amatissimo dalla gente

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Agli occhi delle generazioni digitali del XXI secolo, le foto in bianco-nero sbiadito degli uomini di sport di inizio Novecento sembrano immagini lontanissime di personaggi storici più che di atleti. Quegli sguardi fieri, quell’abbigliamento così antico, spesso a contenere esseri eroici, a loro modo mitici. Come dei Giulio Cesare o Napoleone Bonaparte alla conquista, sì, ma di podi, medaglie e pacifica gloria…

Uno di questi è senz’ombra di dubbio Alberto Braglia, il “garzone di Modena” che conquistò i primi ori olimpici della ginnastica italiana. Egli si appassionò alla ginnastica fin da bambino, allenandosi da autodidatta in fienile; a 17 anni entrò nella Società di Ginnastica e Scherma “Panaro” della città emiliana, praticando differenti attrezzi (sbarra, anelli, cavallo, parallele).

Al suo debutto internazionale, i Giochi Intermedi ateniesi del 1906, vinse subito due argenti. Quella competizione, organizzata per celebrare il decimo anniversario della nascita dei Giochi Olimpici moderni, non è mai stata riconosciuta ufficialmente dal CIO, quindi tali medaglie non rientrano nei conteggi a cinque cerchi. Tuttavia egli trovò un’inattesa consacrazione “mediatica” grazie agli spettatori greci che gli tributarono (non dimentichi dell’aiuto ricevuto nella lotta per la loro indipendenza dalle Camicie Rosse garibaldine) una corale e spontanea acclamazione al grido di “Viva l’Italia! Viva Garibaldi!”. Al suo ritorno in patria venne accolto da eroe, tanto che il suo ingresso a Modena si trasformò in un corteo trionfale; venne ricevuto anche dal re Vittorio Emanuele III e fu premiato con un impiego come operaio nella locale Manifattura Tabacchi.

Alle Olimpiadi di Londra del 1908, sui prati di White City, Alberto Braglia fu il migliore ginnasta in assoluto, primeggiando in tutte e sette le specialità (eptathlon) del concorso completo individuale, chiuso davanti all’inglese Walter Tysall ed al francese Louis Ségura. L’apice tecnico della sua performance fu raggiunto al cavallo con maniglie, dove rasentò la perfezione, guadagnandosi la sincera standing ovation dello sportivissimo pubblico di casa. Non poté prendere parte al concorso a squadre – seconda ed ultima competizione prevista allora dal programma olimpico – poiché contemporaneo alla gara individuale. L’ormai ex garzone di fornaio, i cui studi non erano andati oltre la terza elementare, aveva fatto del suo sport un trionfo di elasticità, eleganza ed inventiva mai viste prima in pedana.

Soddisfazioni sportive a parte, dopo i Giochi londinesi iniziò per Braglia un periodo molto triste e travagliato; non riuscendo a lavorare in fabbrica con continuità, si diede alle esibizioni pubbliche per guadagnarsi da vivere. Per questo motivo, fu dichiarato professionista ed espulso dalla Federazione Ginnastica d’Italia. In una di queste uscite si ruppe pure una spalla e qualche costola. Come se non bastasse, si aggiunse anche una tremenda tragedia familiare: la morte del figlioletto di quattro anni. Dinanzi all’animo di Alberto Braglia si spalancò il baratro dell’esaurimento nervoso.

Riuscì comunque a riprendersi, fisicamente e, soprattutto, mentalmente. Riottenne in tempo anche lo status di dilettante per partecipare ai Giochi di Stoccolma 1912, durante la cui cerimonia d’apertura fu il nostro portabandiera (il primo della storia olimpica azzurra, ndr). Nonostante il viaggio omerico in vagoni di terza classe e una sistemazione approssimativa in alberghi di inqualificabile categoria, le performance in Svezia dei ginnasti italiani furono sontuose: oro a squadre e nell’individuale (in programma il giorno dopo stavolta!), dove altri quattro azzurri si piazzarono al terzo, quarto, quinto e settimo posto. Un trionfo totale, impreziosito dalla sfolgorante doppietta di Alberto Braglia, al suo terzo alloro olimpico su tre gare disputate.

Il modenese incantò pubblico e giudici, i quali, non accontentandosi dei canonici punteggi, dovettero ricorrere all’utilizzo di aggettivi quali “stupendo” o “perfettissimo” sui loro taccuini. A ventinove anni, Braglia poteva tranquillamente considerarsi una leggenda vivente. Ma se la ginnastica gli aveva dato onori e notorietà, non lo aveva certo reso ricco, quindi dovette sempre inventarsi qualcosa…

Durante la Prima Guerra Mondiale prestò servizio come soldato di fanteria, dopodiché tornò agli spettacoli itineranti, portando nei teatri d’Europa e d’America una pièce ispirata ai personaggi del Corriere dei Piccoli, Fortunello e Cirillino. Ebbe un discreto successo ed accumulò una piccola fortuna, che però venne saccheggiata della famigerata Crisi del ‘29. Nel 1932 fu l’allenatore della squadra italiana di ginnastica che vinse a sorpresa l’oro alle Olimpiadi di Los Angeles. A seguito di quest’ultimo successo, venne nominato “Cavaliere Ufficiale per meriti sportivi”. Lavorò ancora come bidello a scuola e come gestore di un’osteria. Con il secondo conflitto mondiale cadde definitivamente in rovina, poiché le sue proprietà vennero distrutte dai bombardamenti.

Accompagnò la nazionale italiana di ginnastica alle Olimpiadi di Londra del 1948, prima di cedere definitivamente il passo all’arteriosclerosi. Ricoverato in un ospizio e riconosciuto fortuitamente da un giornalista che convinse il Comune di Modena ad assegnargli un posto retribuito come custode della palestra che contribuì a costruire il mito-Braglia, trascorse nel luogo a lui più caro gli ultimi anni della sua vita.

Morì il 5 febbraio del 1954. Il feretro partì proprio dalla “Panaro” e venne accompagnato da una folla imponente – ventimila anime costernate, si narra – fino al Cimitero di San Cataldo. In pratica, tutta la città che alla sua memoria ha dedicato lo stadio cittadino. Un altro corteo trionfale, come quello del 1906, l’ultimo passo verso il Paradiso dello Sport.

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