Canottaggio
Storia delle Olimpiadi: l’inattesa vittoria del ‘quattro con’ azzurro ad Amsterdam 1928
Ai Giochi, fu un’apoteosi. Addirittura più comoda di quanto loro stessi avessero potuto immaginare, nonostante a ridosso delle acque dello strettissimo bacino di Sloten non c’erano folli pronti a scommettere un solo centesimo di fiorino su quei quattro giovincelli sconosciuti provenienti dall’Adriatico nord-orientale… Invece proprio nessuno riuscì ad opporsi ai ragazzini della “Pullino”, che sul canale olandese sferzato dal vento (e tanto angusto da poter ospitare in acqua solo due barche alla volta) non trovarono ostacoli degni di questo nome sulla strada conducente all’oro olimpico ed alla gloria eterna.
Dopo aver largamente battuto per due volte, nelle eliminatorie, la Germania grande favorita della vigilia e dopo aver stabilito in semifinale, contro la Svizzera, il record olimpico (6’43”2/5), nel testa a testa finale i Nostri si trovarono di fronte…nuovamente gli elvetici! Sì, perché secondo una procedura insolita non descritta nel rapporto ufficiale, la perdente della prima semifinale (la Svizzera) ri-gareggiava contro la squadra che aveva passato il turno per sorteggio nella seconda semifinale (la Polonia); la vincente di questa “terza semifinale” accedeva alla finale per la medaglia d’oro, contro il vincitore legittimo della prima semifinale (l’Italia).
Al via gli azzurri lasciarono campo agli avversari, raggiungendoli ai 500 metri, per ritrovarsi davanti di una lunghezza già ai 750. A metà gara, con vento di traverso, il vantaggio era di una barca e mezzo. A quel punto, l’imbarcazione italiana diede fondo alle energie disponibili ed incrementò l’andatura da 38 a 42 battute: il vantaggio si fece presto incolmabile e all’arrivo si tradusse in almeno quattro lunghezze di luce, circa 15 secondi.
Un trionfo della scuola italiana, come sottolineò Camillo Baglioni, il maggior cronista italiano di canottaggio che di quel successo fu testimone: “Nessuna pesantezza nei movimenti, nessuna esagerazione nel pendolo dei corpi, che tanto dispendio di forza richiede ai vogatori, ma vivacità, scioltezza di movimenti come si addice alla nostra taglia fisica, nella media inferiore a quelle inglesi, americane e germaniche, e però una più rapida azione che supplisce alla minor potenza fisica”.
Nell’estate del 1975, nessuno ha mai saputo dire come né perché vi fosse finita, l’affusolata barca che aveva trionfato ad Amsterdam venne ritrovata, abbandonata e malconcia, in un angolo del porto di Livorno. Da lì, restaurata con amorevoli cure, venne trasportata fino al “Museo del Mare” di Trieste. Oggigiorno, l’outrigger salvato dall’oblio si culla, stanco, su quegli aurei ricordi, quasi di fronte a Isola d’Istria, che adesso si chiama Izola e non è più Italia…
Storia delle Olimpiadi, prima puntata: Dorando Pietri
Storia delle Olimpiadi, seconda puntata: Ondina Valla
Storia delle Olimpiadi, terza puntata: Gian Giorgio Trissino
Storia delle Olimpiadi, quarta puntata: Pietro Mennea
Storia delle Olimpiadi, quinta puntata: Abebe Bikila
Storia delle Olimpiadi, sesta puntata: il massacro di Monaco 1972
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Storia delle Olimpiadi, ottava puntata: Mauro Checcoli
Storia delle Olimpiadi, nona puntata: Antonella Bellutti
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Storia delle Olimpiadi, venticinquesima puntata: il Setterosa 2004
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Storia delle Olimpiadi, trentacinquesima puntata: Patrizio Oliva
Storia delle Olimpiadi, trentaseiesima puntata: Giovanni Lombardi
Storia delle Olimpiadi, trentasettesima puntata: Uberto De Morpurgo
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Storia delle Olimpiadi, quarantaduesima puntata: la fiamma olimpica
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Storia delle Olimpiadi, quarantanovesima puntata: il “quattro di coppia” azzurro a Sydney
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Foto: FIC
giuseppe.urbano@oasport.it