Aneddoti Olimpici – Monaco 1972: il super computer, il teodolite e la fallace tecnologica

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Tedeschi tecno-pasticcioni. Monaco 1972.

Abbiamo sempre pensato che in Germania le capacità organizzative e tecnologiche siano sempre al top. Ma forse si tratta di un cliché, di un pregiudizio che noi italiani coltiviamo.

Due dettagli della Olimpiade di Monaco ’72, pure gravata dalla vicenda dei terroristi di “Settembre Nero” malissimo gestita dalla polizia locale, fungono da probanti indizi in tal senso.

In un’epoca ancora pionieristica per lo sviluppo dell’informatica, la Germania occidentale si poneva comunque tra le più preparate. L’americana IBM era entrata ai Giochi Olimpici già nel 1960 a Squaw Valley, i computer avevano dato il loro apporto a Roma ’60, Tokio ’64 e Messico 68, ma in quest’ultimo caso, la Olivetti, secondo un report di un analista tedesco, aveva realizzato una performance sotto gli standard.

Il “Golym Sistem”, elaborato dalla Siemens per Monaco ’72, doveva dunque rilanciare la qualità dell’informatizzazione degli eventi olimpici, dopo la cattiva prova offerta dagli italiani. Il Golym forniva sia l’hardware che il software necessario, così che  i giornalisti potevano disporre in tempo reale di tutte le “info” immaginabili sui Giochi.

C’era molta curiosità, ovviamente, intorno al Golym, che però, subito nei primi giorni, diede segni di instabilità mentale. Ad esempio, vendette due volte lo stesso stock di 600 biglietti; quindi stabilì in centimetri 111 l’altezza di un pugile iscritto al torneo dei pesi massimi. Per stuzzicarlo, un italiano sottopose all’elaboratore una domanda insidiosa: “Puoi darmi notizie sull’atleta Milone?”.

Golym rispose con teutonica premura, snocciolando su un pezzo di carta i dati in suo possesso su un esperto velista napoletano, Giuseppe Milone detto “Picchio”, un bel campione del Circolo Italia di Santa Lucia che, col più giovane Roberto Mottola, faceva coppia nel “4.70”. Il giornalista, non contento, specificò: “No, volevo sapere di Milone di Crotone, il lottatore degli antichi Giochi”. Nessuna risposta da parte di Golym; e silenzio imbarazzato dei giornalisti tedeschi presenti, che fino a un momento prima avevano magnificato le doti del loro amico computer.

L’altro caso, ben più grave, riguardò l’avvento del teodolite, un sistema di misurazione basato su un prisma ottico e sulle triangolazioni. Il teodolite, a giudizio dei tedeschi, avrebbe risolto il problema dei lanci nei concorsi nell’atletica leggera che, misurati da mani umane, in passato avevano dato adito a dubbi. Tutto filò abbastanza liscio fino a che, al quinto turno nella finale del giavellotto, l’atleta di casa, Klaus Wolfermann, con un 90,48 scavalcò il favoritissimo della vigilia, il sovietico Janis Lusis. Questi, che poi era un lituano, reagì subito al sesto lancio, l’ultimo, e la prospettiva sembrò dargli ragione. Infatti, tutto lo stadio mormorò deluso, convinto della vittoria del nemico. Ma ecco intervenire l’occhio del tedodolite. Dopo un lungo intervallo (molto sospetto, perché solitamente la misurazione era più veloce), il tabellone elettronico segnò un 90,46: giusto la misura inferiore possibile per regalare al tedesco occidentale l’oro olimpico.

 

di Marco Impiglia, Direttore Editoriale della Società Italiana di Storia dello Sport (SISS)

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