Nuoto
Aneddoti Olimpici – Roma 1960: Larson e Devit, la medaglia d’argento nuotò più veloce del Campione. La nascita dei cronometri
Come e perché nacque il cronometraggio elettrico nel nuoto: la soluzione del mistero. Roma 1960.
In fatto di pasticci, e non c’è da meravigliarsi, uno dei più grossi venne combinato proprio all’unica Olimpiade estiva che abbiamo ospitato.
Stiamo parlando della vittoria negata al nuotatore Larson nella finale dei 100 metri stile libero. Di fronte c’erano questi due campioni: da una parte l’americano Lance Larson, un colosso dalla faccia di attore, nervoso come un torero, che si aggiustava continuamente i laccetti del costume; dall’altra l’australiano John Devitt, magro come Boris Karloff, medaglia d’argento a Melbourne ’56, secondo tempo nelle batterie, dietro appunto a Larson. Il terzo incomodo era il brasiliano Manuel Dos Santos, ma i due sapevano che la partita si giocava soprattutto fra di loro.
La gara allineò ai blocchi: Devitt, Larson, Dos Santos, Hunter (USA), Dobay (Ungheria), Pound (Canada), Burer (Sud Africa), Lindberg (Svezia). Risultò emozionante fin dalle prime battute. Dos Santos virò in testa ai cinquanta, con Devittt e Larson secondi appaiati. Nella vasca di ritorno il brasiliano perse velocità, fu superato da Devitt che si portò dietro sulla scia Larson. Differenti gli stili dei due: l’aussie con una bracciata lunga ed elegante, lo yankee tutto di forza.
Agli ottanta, Larson eguagliò Devitt, i due lottarono spalla a spalla nelle corsie 3 e 4. Toccarono simultaneamente il bordo della vasca. L’australiano con precisione e nel pieno dello slancio. L’americano più disordinatamente e sotto il bordo. Larson diede netta l’impressione di avere vinto, e per la gioia improvvisò una vasca a delfino spruzzando gli altri nuotatori che si avvicinavano per congratularsi.
Uscì all’aria col suo corpo rasatissimo e il caschetto di capelli biondi ossigenati. Venne fotografato come il vincitore della prova, mentre Devitt, accanto, esibiva una faccia funerea. Ma, a questo punto, un uomo si fece strada tra i due, guardò Devitt negli occhi e, con una mimica sobria, gli disse: “You are the winner!”.
Il tipo era il giudice-capo, lo svedese Runstromer, ed aveva preso la sua decisione. Tutti rimasero stupefatti. I fotografi, muovendosi all’unisono come piranha, rivolsero le loro attenzioni al nuovo eletto. Larson, platealmente shoccato, ebbe la sensazione che una coroncina d’alloro gli stesse scivolando via dalla fronte. Devitt gli aveva già dato la mano e riconosciuto con educazione la sua sconfitta! Ed ora, quel tipo allampanato…
La delegazione americana cominciò a protestare con grida concitate, senza riuscire ad ottenere alcun dialogo con Runstromer. Questi si limitò ad alzare con la mano destra il libro blu del regolamento, ripetendo in inglese: “È stata una mia decisione… It was my decision”. Ma, insomma, cos’era successo?
Tutto dipendeva dal classico ‘buco’ regolamentare. Il tempo di ogni concorrente era stato fissato da tre cronometristi.
Per Larson, le lancette segnavano 55.0, 55.1 e 55.2. I tempi di Devitt erano concordanti sul 55.2. Si poteva credere che ciò bastasse, gli Omega parlavano chiaro. E qui dobbiamo aprire una parentesi esplicativa riguardo ai cronometri olimpici.
La ditta Omega per la prima volta aveva montato nei principali impianti dell’Olimpiade tabelloni elettronici per fornire dati agli spettatori. L’elettronica, però, non rientrava nelle decisioni da prendere per le competizioni in piscina; qui si rimaneva al lavoro a mano. I modelli “Swim-O-Matic-Timer” adottati per Roma ’60 avevano fatto già vedere in passato di essere all’altezza della situazione.
Essi misuravano al decimo di secondo; spettava ai cronometristi bloccare col dito il “semi-automatico” e quindi decidere, insieme ai giudici di vasca, una dozzina in tutto, sull’ordine di arrivo. Troppe teste, in definitiva, che neppure l’alta precisione di un orologio svizzero poteva mettere d’accordo.
Così capitò che quella particolare sera, in quella particolare gara, fu compito delle rotelle degli uomini e non degli ingranaggi degli orologi dire l’ultima parola. Rotelle scombinate, purtroppo. Il blue-book imponeva tre ufficiali addetti a stabilire chi fosse il primo arrivato e altrettanti per il secondo arrivato. Del primo gruppo di giudici, due avevano visto vincitore Devitt e uno Larson. Esattamente l’inverso avevano veduto le pupille degli altri tre giudici, favorevoli all’americano. Risultato del conteggio: 3 a 3. Non si sapeva bene cosa fare e fu il giudice-capo a sciogliere il nodo gordiano.
Runstromer concesse la vittoria a Devitt, pur avendo seguito la gara da una certa distanza, invitando tutti ad ignorare il responso dei cronometri. L’americano Max Ritter, membro fondatore della FINA, inoltrò una protesta ufficiale che non venne accolta. Si cercò di far salire sul podio ex aequo i contendenti, ma inutilmente. Per vie burocratiche, il busillis cronometrico imbastì il suo romanzetto nei mesi successivi.
Carte su carte, articoli su articoli, fino a quando, nell’aprile del 1961, il CIO non s’accomodò in una salomonica soluzione: Devitt rimaneva oro olimpico col tempo di 55.2, Larson veniva dichiarato secondo col tempo di 55.1, nuovo primato olimpico. Il perdente poteva, dunque, correttamente affermare di avere nuotato più veloce del campione. Tutto è relativo, avrebbe commentato Albert Einstein.
Cosa era cambiato per giungere ad un simile escamotage da parte del CIO? Beh, dobbiamo dirlo… colpa delle macchine. Un’analisi alla moviola della CBS, fatta a Roma a poche ore dalla gara e quindi perfezionata, quattro giorni dopo, nei quartieri generali della Movietone News di New York, aveva dimostrato, in base al blocco di un fotogramma (24 “frames” equivalevano a un secondo), il tocco anticipato di 6 centesimi di Larson. Precisamente, nel filmato si vedeva che Larson toccava il bordo sette pollici sotto il pelo dell’acqua con la mano sinistra, e nello stesso istante Devitt stava a tre quarti di strada con l’ultima bracciata verso il bordo superiore. Nessun dubbio sulla vittoria dell’americano era più possibile. E questo lo si era saputo già dal primo settembre 1960. L‘affair Larson/Devitt avviò una ricerca della ditta Omega che portò, nel 1967, all’introduzione del cronometraggio elettronico nelle gare di nuoto col sistema dell’automatic touch pad.
di Marco Impiglia, Direttore Editoriale della Società Italiana di Storia dello Sport (SISS)
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