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Rugby
Rugby, Mirco Bergamasco: “Dopo l’infortunio del 2012 avrei meritato più rispetto. Il rugby a 13 è un’altra filosofia”
Uno dei più forti rugbisti della Nazionale italiana, Mirco Bergamasco, classe 1983. Nel 2012, dopo un periodo costellato di infortuni, il padovano si trasferisce dal Racing Métro 92 al Rovigo, tornando così in Italia dopo una breve parentesi nel campionato francese. Successivamente passa alle Zebre ma, a fine stagione, non gli viene rinnovato il contratto. Si trasferisce così oltreoceano per giocare con i Sacramento Express, nella Pro League, massima lega americana del rugby a 13 (altrimenti detto rugby league). Il mese scorso, convocato nella Nazionale italiana della disciplina, ha esordito nel match delle qualificazioni ai Mondiali del 2017 (Serbia – Italia 14-62). In un’intervista rilasciata al Corriere dello Sport, l’utility back azzurro ha raccontato le sue sensazioni e le sue prospettive future.
Del 2012, Bergamasco dice: “Al rientro dopo l’infortunio sono stato trattato con poco rispetto sia da Jacques Brunel (allora CT degli azzurri del rugby a 15, ndr) sia dalle Zebre, con cui ho giocato due anni. Mi ha fatto male, avrei meritato un trattamento diverso”. Poi si concentra sul presente, togliendosi qualche sassolino dalla scarpa: “ In America, ho ritrovato il piacere di giocare a rugby che mi avevano fatto perdere in Italia. Negli States hanno un serbatoio enorme, grandi strutture e c’è un progetto che punta a far entrare il rugby nel cuore degli americani, al pari del basket e del football. In streaming le partite fanno già 200 mila spettatori. In cinque mesi sono passati da una Serie B italiana a, oggi, poter vincere l’Eccellenza con Ohio e Denver e battersela per 80’ con Zebre e Benetton Treviso”.
Su com’è nata l’avventura nel 13, poi, spiega: “È una specialità che ho sempre seguito e quando mi è stata proposta dalla FIRL (Federazione Italia Rugby League, ndr) la chance di giocare le qualificazioni al Mondiale sono stato felice. Mi hanno accolto benissimo, non come “quello del 15” (indiretto riferimento a Brunel, ndr) che è arrivato credendosi chissà chi. È un grande gruppo e tutti mi hanno dato una mano: perché il 13 è davvero un’altra cosa”. “Il lato fisico e la corsa mi sono sempre piaciuti e in questo senso non posso lamentarmi – continua il padovano, spiegando le differenze tra le due varianti del rugby – Contro la Serbia, il GPS dice che abbiamo corso in media 15 km, contro i 5 che facevo nel 15. Sostanzialmente, è tutta un’altra filosofia. Da centro non devo più cercare la palla ma restare a presidiare la mia fascia, un po’ come nel calcio. È un gioco molto tattico, devi capire subito dove andrà la palla , chiudere gli spazi e difendere bene perché appena offri la spalla qui sono bravissimi a colpirti sul lato debole. La mischia? Esiste, esiste. Ho giocato anche da seconda linea, da numero 4. Qui mi trovo fianco a fianco di grandi campioni e chi ha detto che sono passato al 13 per i soldi non ha capito nulla”.
E quando, tornando a parlare del rugby classico, gli viene chiesto di Conor O’Shea, neo CT azzurro, Bergamasco risponde: “Ho scambiato qualche battuta con lui quando la Nazionale a 15 è venuta in America e mi ha fatto un’ottima impressione. È uno che parla e dà una possibilità a tutti, al contrario del suo predecessore si appoggerà ad una squadra e non a pochi giocatori. C’è una bella atmosfera, non quella fatta di divieti che regnava con Brunel.”
Infine sul suo futuro negli USA, conclude: “Ho un contratto con la Pro League e sono loro a decidere in che squadra mandarti, quindi non so ancora se resterò a Sacramento. Qui ci sono tante opportunità e l’America mi piace molto anche al di là del rugby”.
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Foto: Pagina Facebook Mirco Bergamasco