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Tennis, la crisi nera del tennis italiano maschile

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Non è un bel momento quello che l’Italia sta vivendo nel movimento tennistico maschile. Il primo italiano nel ranking ATP, infatti, è attualmente Paolo Lorenzi numero 39, che a dicembre compirà 35 anni, e nella sua carriera ha ottenuto solo una vittoria, proprio nel 2016 nel torneo di Kitzbuhel. Più indietro gli altri. Il secondo è Fabio Fognini, 43° al momento ma 13° come best-ranking, il quale può vantare nel suo palmares quattro titoli vinti (Stoccarda e Amburgo nel 2013, Viña del Mar nel 2014 ed Umago quest’anno), ma nei tornei che contano, come gli Slam, non è riuscito ad andare oltre i quarti di finale del Roland Garros.

Situazione impietosa se si scorre la classifica sempre più indietro. Andreas Seppi è 94°, mentre in 108° posizione c’è Thomas Fabbiano, fresco di sconfitta al secondo turno nel torneo di Shenzhen settimana scorsa. Quinto italiano è Alessandro Giannessi (144°) seguito di poco da Luca Vanni (166°), Marco Cecchinato (171°) Federico Gaio (182°) e Lorenzo Giustino (199°). Per trovare tennisti giovanissimi si deve arrivare alla posizione 210 del seeding in cui troviamo il ventunenne Matteo Donati tallonato dal coetaneo Stefano Napolitano, in 224ma posizione, precedendo due veterani come Filippo Volandri (265°) e Simone Bolelli (335°).

Una fotografia chiara di come il movimento maschile soffra da troppo tempo di una patologia chiamata anonimato. Non è un caso il fatto si debba tornare indietro di quarant’anni, a quel meraviglioso 1976, per trovare l’ultimo tennista vincente in un torneo dello Slam. Fu Adriano Panatta a fare la storia conquistando il Roland Garros. Ma poi? Troppi alti e bassi, infortuni. Forse quello che veramente manca è la capacità di scovare i nuovi giovani talenti e farli crescere in un contesto in cui la forza mentale e la potenza del braccio hanno preso il sopravvento su qualità tecnica e capacità di tocco.

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