Ciclismo

OSCAR 2016 – L’Uomo Italiano dell’Anno è… La top 15: le bracciate di Greg, le proiezioni di Fabio, la doppietta di Nicco e…

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Il 2016 è stato un anno meraviglioso per lo sport italiano che ha vissuto e ammirato tantissimi successi. Come da tradizione OASport conferisce i suoi premi e onora i migliori atleti azzurri della stagione che si sta per concludere con i consueti Oscar.

Arriva il momento della speciale classificata riservata alla miglior uomo italiano dell’anno. Una top 15 tutta azzurra, dei nostri migliori 15 rappresentanti, quelli che hanno regalato più emozioni e trionfi.

Per conoscere la top 15 dei migliori uomini italiani dell’anno clicca in ordine sulle pagine 2, 3, 4 e via dicendo. Dalla quindicesima alla prima posizione, per scoprire dal basso verso l’alto la nostra speciale classifica.

 

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ALVISE DE VIDI

 

Un monumento del paralimpismo italiano. Sette partecipazioni alle Paralimpiadi, 12 medaglie a cinque cerchi, 50 anni di successi in giro per tutto il mondo e avere ancora la voglia di un ragazzino. A Rio de Janeiro c’è ancora spazio per un infinito Alvise De Vidi che conquista la medaglia di bronzo sui 400m T51 salendo sul podio dopo 28 anni dal suo primo alloro a cinque cerchi, peraltro nel nuoto.

 

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FEDERICO GANNA

 

Una delle più belle rivelazioni dell’intera stagione, una delle scoperte più stupefacenti ed esaltanti di questo 2016, un talentino in erba che ha mosso i suoi primi passi nel ciclismo che conta, la promessa di un futuro roseo per la pista italiana che dopo i momenti epici offerti da Elia Viviani potrebbe aver trovato un nuovo Re Mida capace di farci sobbalzare i cuori a furia di pedalate possenti e potentissime.

Il Campione del Mondo dell’inseguimento individuale viene da Verbania e ha solo 20 anni, una classe sopraffina e una gamba da predestinato. Arrivo a braccia aperte, con oltre due secondi di vantaggio su Domenic Weinstein. A Londra ha realizzato una prestazione maiuscola, impareggiabile da tutta la concorrenza. L’iride illumina il volto di Filippo Ganna, poi capace anche di conquistare l’argento europeo nella prova a cronometro riservata agli U23 oltre a un doppio argento agli Europei su pista (nell’inseguimento individuale e in quello a squadre).

 

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ALEX ZANARDI

 

Un highlander, nel fisico e nella mente. Sembra l’Uomo di Ferro, indistruttibile e inscalfibile. Un esempio di come un evento che sconvolge la nostra vita può trasformarsi in qualcosa di positivo, in grado di regalarci gioie e successi.

Alex Zanardi ha 50 anni ma il fisico, la voglia e il cuore di un ragazzino al suo primo amore che non si arrende davanti a nulla e va avanti per la sua strada. Un paladino moderno, un eroe dei nostri giorni, un superuomo del 2016 che alle Paralimpiadi si mette al collo 2 ori e 1 argento, proprio come a Londra 2012.

A 15 anni dal terribile incidente automobilistico che gli ha amputato gli arti inferiori, Alex recita nuovamente da assoluto protagonista con la sua handbike ed emoziona tutti a Rio, dominando la crono e trionfando con i compagni in una staffetta da leggenda.

Le sue perle di saggezza sono un esempio per le generazioni future: personaggio a tutto tondo che dà lustro all’Italia intera.

 

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ROLAND FISCHNALLER

 

Il Campione del Mondo 2015 conquista la seconda Coppa del Mondo di slalom parallelo della sua carriera dopo quella alzata al cielo nel 2013. Nella sua specialità prediletta non delude mai, conquistando anche una vittoria di tappa (a Mosca a fine gennaio). Roland Fischnaller si conferma il Messia dello snowboard italiano.

 

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GABRIELE DETTI

 

Letteralmente esploso. Brillato come il petardo più potente nella notte di Capodanno, rivelatosi come stella luminosa nel cielo del nuoto italiano, proprio nel momento più importante e opportuno, proprio quando i veri numeri 1 sanno fare la differenza e fare incetta di risultati di lusso.

Con uno show ai limiti della perfezione, surreale ma bello come un notte di mezza estate, Gabriele Detti si mette al collo un’epocale medaglio di bronzo sui 400m stile libero, a soli nove centesimi dal record italiano di Max Rosolino: meglio di lui solo gli inarrivabili Mack Horton e Sun Yang.

La sceneggiatura dei 1500m è stata poi stupenda. In vasca con il suo “Gemello Diverso” Greg Paltrinieri si invola verso un’altra medaglia di bronzo: due italiani sullo stesso podio olimpico si erano visti solo a Sydney 2000 con Domenico Fioravanti e proprio Massimiliano Rosolino nei 200m rana.

 

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FEDERICO MORLACCHI

 

Il poker firmato alle Paralimpiadi di Rio 2016 merita assolutamente un posto nella top 15 degli sportivi italiani dell’anno. Quattro firme d’autore che consacrano ulteriormente il 22enne varesino: Campione sui 200m misti poi un triplo argento tra 100m farfalla, 100m stile libero, 100m rana. Uno show di classe cristallina che lo fa diventare uno dei migliori nuotatori paralimpici della nostra storia.

La sua ipoplasia congenita al femore sinistro non gli ha impedito di poter essere uno sportivo di riferimento grazie a un talento innato e a tanta forza di volontà.

 

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VINCENZO NIBALI

 

Un’Aquila a cui solo la iella ha tarpato le ali. Un Leone dall’animo combattivo che ha sempre creduto di ruggire nella Savana delle due ruote. Anche nel momento di massima difficoltà, anche quando sembrava tutto finito, anche quando lo Squalo sembrava aver perso i denti per azzannare l’asfalto. Dall’apoteosi alla tristezza desolante, dal Trofeo Senza Fine alla consacrazione eterna rubata dalla malasorte.

La maledetta discesa del percorso olimpico, mentre si involava verso un probabile trionfo, avrebbe ammazzato anche un bisonte, avrebbe stordito un toro che in procinto di piazzare l’incornata si è visto mancare il bersaglio da davanti gli occhi.

Queste sono le due facce della stagione di Vincenzo Nibali che nel giro di tre mesi è passato dal Paradiso all’Inferno senza passare nel mezzo, in un percorso dantesco inverso rispetto all’originale, amaro nel suo epilogo quanto dolce fu l’inizio. Il Giro d’Italia sta andando malissimo, il siciliano è attardo di quasi cinque minuti dalla maglia rosa quando mancano soltanto due tappe di montagna al termine della corsa. Sostanzialmente non ci sono speranze, anche il podio sembra lontanissimo. Poi succede l’impossibile.

Nella Pinerolo > Risoul il leader Kruijswijk va a sbattere contro un muro di neve nella discesa del Colle dell’Agnello. Enzo vuole far saltare il banco, vincerà la tappa in solitaria e ricucirà il distacco dal primo posto a soli 44 secondi da Chaves. Il giorno dopo, a Sant’Anna di Vinadio, l’attacco decisivo che gli consegna la nostra corsa a tappe per la seconda volta in carriera. Ha rimontato un distacco assurdo in due giorni, un’impresa folle ai limiti dell’umano, resa possibile solo da chi ha un cuore immenso, da top 5 del ciclismo italiano di tutti i tempi.

Vola a Rio, a 11 km dal traguardo della prova a cinque cerchi è al comando con due uomini. È il più pimpante, si sta pregustando la prima medaglia d’oro dell’Italia alle Olimpiadi, una delle più desiderate, conquistata dal Re di Francia. Piena discesa, caduta rovinosa e il sogno va in frantumi.

 

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FEDERICO PELLEGRINO

 

Camoscio delle Alpi. Si arrampica su vette inesplorate, saltella verso traguardi immacolati, pianta la bandiera italiana sulle cime più alte degli sport invernali. Il Re dello Sci di Fondo azzurro si consacra, domina letteralmente le sprint, macina record su record, si mette in mostra firmando cinque vittorie di tappa, brilla a Lenzerheide, firma un’epica doppietta nel giro di sei giorni tra Davos e Dobbiaco, plana su Planica (dove vince anche in coppia con Dietmar Noeckler) e si prende addirittura il lusso di vince in tecnica classica a Canmore, quando ipoteca la conquista della Coppa del Mondo di sprint, primo azzurro di sempre capace di coccolare la Sfera di Cristallo.

Un personaggio a tutto tondo, accompagnato da un talento cristallino curato meticolosamente, lustrato al meglio, accompagnato da una forma sbalorditiva che si è prolungata per tutto l’arco della stagione, culminata con la realizzazione di quel sogno che inseguiva fin da piccolo. Il Predatore delle Piste divora gli avversari e si consacra nella cornice a lui più congeniale.

 

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DANIELE GAROZZO

 

Il Salvatore della Scherma italiana, l’uomo che meno ti aspetti, un talento naturale che doveva soltanto esplodere. Lo ha fatto nel momento più importante della sua giovanissima carriera, esaltandosi in una giornata da lupi, nella prova individuale del fioretto che ha premiato la caparbietà

Daniele Garozzo ha vinto l’argento agli Europei 2015, ha contributo al trionfo iridato della squadra lo scorso anno ma non era certamente il favorito della competizione. Sbalordirà tutti, quasi dominando la competizione, asfaltando in semifinale il Campione del Mondo Safin e abbattendo il viceiridato Massialas nella finalissima per il titolo. Una cavalcata da vero numero 1, da Campione Olimpico navigato che ha poi perso il suo oro, scippato su un treno e poi fortunatamente ritrovato.

 

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GABRIELE ROSSETTI

 

Di padre in figlio. Un’eredità investita e fruttata, un patrimonio familiare migliorato, esploso. Un baule dorato contenente talento, classe, caparbietà che il 21enne ha svaligiato a Rio. Lo svedesone Marcus Svensson era una roccia, sembrava inscalfibile, non sbagliava mai ma la precisione inaudita del Figlio d’Arte era incrollabile. Colpo su colpo in una Finale ad altissimo tasso tecnico, Gabriele Rossetti è irremovibile e l’avversario crollo. Campione Olimpico, lo skeet è azzurro, i piattelli si sbriciolano sotto la forza di volontà del toscano che riporta il suo cognome su un podio a cinque cerchi dopo 24 anni: quando non era ancora nato, suo papà Bruno conquistò il bronzo a Barcellona 1992 sempre nello skeet. Di padre in figlio.

 

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PETER FILL

 

“I Fill Good”. Tocca traguardi inesplorati alle nostre latitudini, entra nella nostra storia come il “primo a riuscirci”, diventa leggenda vivente nello sci alpino italiano, entra nella ristrettissima cerchia dei Campionissimi della neve capaci di riscrivere le Bibbie del movimento.

Nessun italiano in mezzo secolo di Coppa del Mondo era mai riuscito ad alzare al cielo la Sfera di Cristallo di discesa libera. Neppure i miti della Valanga Azzurra avevano firmato l’impresa. Sì la generale, mai il pettorale rosso della prova più veloce e da brividi. Brividi che Peter Fill ci ha fatto passare per tutta la stagione, conclusa in maniera trionfale con la conquista della Coppetta.

Il favoritissimo Svindal stava dominando la specialità ma si è infortunato durante la stagione, Peter ne approfitta e si consacra. La vittoria nella Classicissima di Kitzbuehel, l’Università della discesa libera, è una ciliegina sulla torta che giustifica da solo un’intera carriera. Immenso.

 

(foto Pentaphoto)

 

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FABIO BASILE

 

Il numero dell’immortale, della leggenda, del caposaldo che rimarrà a imperitura memoria. L’oro numero 200 dell’Italia ai Giochi Olimpici. Una cifra tonda che riempie la bocca, gonfia il petto, fa palpitare il cuore, raggela il sangue, fa alzare le braccia al cielo in segno di gloria, ci lascia di stucco e increduli proprio come l’impresa di un esemplare Samurai venuto dal Mediterraneo.

Fabio Basile ha riportato il judo italiano sul Trono a Cinque Cerchi, in Cima all’Olimpo degli imbattibili, indomito guerriero che ha ribaltato le gerarchie abbattendo qualsiasi ostacolo gli si ponesse dinnanzi. Un carrarmato, un rullo compressore, uno tsunami che travolgeva progressivamente le stelle della sua categoria, correndo possente verso l’oro bramato.

Si è qualificato all’ultimo assalto utile, ha preso l’aereo per Rio, è sceso sul tatami e ha iniziato una progressione al limite del surreale. Una serie di ippon impossibili, una tecnica d’eccellenza sciorinata nel contesto maximo dell’arte del combattimento. Campione Olimpico dei 66kg (epocale l’ippon dopo 84 secondi inflitto al Campione del Mondo nella Finalissima), senza se e senza ma: dopo 16 anni l’Italia ritornava sul gradino più alto del podio a cinque cerchi tra gli uomini. Quando Maddaloni si consacrava a Sydney, il piccolo Fabio aveva appena sei anni ma quei ricordi rimangono indelebili.

Basile è poi diventato subito un personaggio: bello come il sole per le ragazze, simpatico e affabile davanti alle telecamere, pronto per un futuro televisivo (dovrebbe partecipare a Ballando con le Stelle e lui vorrebbe avere un ruolo nella serie Gomorra). Sempre con un oro al collo.

 

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ELIA VIVIANI

 

Il sapore della vittoria, pregustata metro dopo metro, assaggiata per due giorni, inseguita per un quadriennio, assaporata dolcemente dopo che per un istante tutto sembrava sfumato e volato via per sempre, a terra insieme alla sua bicicletta. Un uomo e il suo mezzo, in solitudine, una testa e due pedali sono un motore oliato alla perfezione che non è mai andato fuori giri, preciso come un robot della Silicon Valley venuto dal Veneto.

Elia Viviani ha firmato una delle più belle imprese dell’anno per lo sport italiano, un cioccolatino che ha riscritto le pagine del nostro ciclismo su pista, smarritosi nell’ultimo decennio e svegliatosi grazie all’ardore di un 27enne quadrato, meticoloso, bravo a dividersi con la sua attività su strada e a credere fino in fondo nell’immortalità olimpica dopo la delusione di Londra 2012.

Omnium, di tutto e di più. Emozioni contrastanti, paure, timori, certezze svanite, riconfermate in un susseguirsi di sei gare che premia la completezza del Velodromo. Gaviria, Cavendish, Hansen, Boudat: nomi grossi da affrontare, messi in fila uno a uno dall’azzurro che riporta l’Italia sul podio olimpico della pista dopo un digiuno infinito.

La corsa a punti finale, con la caduta e i vari sprint vinti, ha scaldato un’intera Nazione in prima serata e lo ha spinto verso l’apoteosi finale. Gli ultimi dieci giri, con l’oro già al collo, sono stati l’emblema della commozione pura.

 

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NICCOLO’ CAMPRIANI

 

“He shot me down. Bang, bang”. Le sue armi sono d’oro massiccio, potenza di fuoco inaudita, occhio di lince, freddezza glaciale, battiti cardiaci regolati per fare centro. I suoi. Perché quelli del popolo azzurro sentivano brividi sulla schiena a ogni sparo, tesi come una corda di violino, timorosi che il proiettile finisse dove non doveva.

Niccolò Campriani è stato l’unico italiano capace di conquistare due medaglie d’oro alle Olimpiadi di Rio 2016, entrando di diritto nella leggenda del tiro a segno (terzo titolo a cinque cerchi considerando anche l’apoteosi di Londra 2012) e dello sport azzurro in generale.

Nella carabina da 10 metri non ce n’è stato davvero per nessuno. Una perfezione inaudita che gli ha permesso di laurearsi Campione Olimpico con tanto di record della rassegna e sei giorni dopo succede l’inimmaginabile. Deve difendere l’oro della carabina 50 metri 3 posizioni, il duello con Sergey Kamenskiy è snervante e sul finale Nicco cede psicologicamente sparando un brutto colpo. Sembra tutto finito ma il russo farà clamorosamente peggio (surreale 8.3) e Campriani si conferma. Bang, bang a tutti.

 

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GREGORIO PALTRINIERI

 

Dominatore dell’acqua, generatore del calore che emoziona i nostri cuori per ogni sua azione, fulmineo come il vento, con i piedi ben piantati per terra. Come un novello Nettuno capace di dettare legge su tutto quello che si muove in vasca, meraviglioso Dio del nuoto italico all’ombra del Cristo Redentore.

Campione Olimpico in una delle notti più belle della storia del nostro sport, bracciate ampissime, una nuotata imperiale, degna di Gregorio Magno. Paltrinieri ha strappato la distanza più lunga, si è divorato i 1500m di Rio, dominando dal primo all’ultimo centimetro di una gara che l’ha incoronato nell’empireo dei grandissimi, degli inarrivabili, degli inimitabili.

La sua ineguagliabile tecnica di fianchi, i muscoli virgulei del tronco, la classe mista a potenza calibrata e a un’eccellente efficienza lo incoronano come l’icona del nuoto italiano, come Sportivo Italiano del 2016 al termine di una stagione davvero leggendaria e ai limiti della perfezione.

Campione Olimpico come solo Domenico Fioravanti, Max Rosolino (entrambi a Sydney 2000) e Federica Pellegrini (a Pechino 2008) erano stati capaci nella nostra storia. A 22 anni è già un pilastro, un idolo, un modello per le generazioni future, quelle che davvero vogliono fare i sacrifici per arrivare dove sempre hanno sognato. Ha sfiorato il Record del Mondo, ancora detenuto da quel Sun Yang miseramente eliminato in batteria e che Greg aveva già demolito psicologicamente ai trionfali Mondiali di Kazan 2015: 14:34.57, a 3 secondi e mezzo dal cinese, terzo crono di tutti i tempi. Sconfitti Connor Jaeger e il suo “gemello diverso” Gabriele Detti.

La Tripla Corona vola a Carpi perché, prima dei Giochi, Paltrinieri aveva scaldato i motori trionfando agli Europei di Londra, dove realizzò il suo personale di 14:34.04. La “macchia” finale dei Mondiali in vasca corta di Windsor (argento alle spalle del sudcoreano Park, già squalificato in passato per doping) non cambia la storia di Gregorio Paltrinieri, il Miglior Sportivo Italiano del 2016.

 

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