Rugby
Rugby: il regresso dell’Italia e lo spettro di un altro Sei Nazioni fallimentare. La rivoluzione di O’Shea e una crisi che affonda le sue radici nelle franchigie
Le due sconfitte casalinghe rimediate dall’Italrugby in altrettante partite disputate nel Sei Nazioni 2017 hanno decisamente riportato sulla terra l’intero movimento, forse un pochino troppo esaltatosi dopo le prestazioni convincenti fornite dagli azzurri durante i Test Match di novembre culminati con lo storico successo ottenuto a Firenze ai danni della corazzata Sudafrica. Ed invece contro Galles e Irlanda sono arrivate due autentiche batoste entrambe maturate di fronte al pubblico amico dello Stadio Olimpico, un ulteriore smacco se si considera che quella subita dai Verdi è stata la peggiore disfatta interna nell’intera storia del Torneo.
Nemmeno le innovazioni introdotte dal nuovo commissario tecnico Conor O’Shea sembrano invertire una tendenza a dir poco negativa in questa manifestazione, che anche quest’anno rischia seriamente di concludersi in maniera fallimentare per la nostra Nazionale. Inutile negare, infatti, che nei primi due incontri avevamo anche il vantaggio di giocare in casa, mentre le trasferte che ci attendono appaiono davvero proibitive a partire da quella a Twickenham contro la super-favorita Inghilterra di domenica 26 febbraio. Non c’è dubbio che il nuovo tecnico abbia prodotto un cambiamento nella mentalità e nell’attitudine di questa squadra, contribuendo forse anche ad accrescere l’attenzione nei confronti di questo team, ma ciò non toglie che permangono ancora evidenti limiti strutturali di difficile soluzione anche per il coraggioso O’Shea.
Il riferimento nemmeno troppo velato è allo scarso rendimento delle principali franchigie italiane nel Guinness Pro12, dettato dal fatto che l’80% dei giocatori militanti in maglia azzurra veste le maglie di Benetton Treviso o Zebre relegate nelle ultime due posizioni della graduatoria. Non si può pertanto fare a meno di notare le perentorie lezioni incassate dagli schieramenti azzurri al cospetto delle formazioni irlandesi come il Munster, anche se lo stesso concetto è applicabile con riferimento a Connacht e Leinster, tutte capaci di banchettare ai danni delle nostre squadre più rappresentative sia in casa che in trasferta. Impossibile dunque pretendere che tale dislivello non si manifesti nell’ambito delle Nazionali, pur constatando l’ottimo lavoro effettuato dal nuovo staff al fine di creare una maggiore collaborazione tra la rappresentanza azzurra e quella delle franchigie.
Un problema sottolineato più volte anche dagli stessi giocatori: “Nel 2013 il Benetton vinse il 90% delle partite in casa in Pro 12 e fece la sua figura anche in Champions. C’erano 15 uomini da Treviso in Nazionale e facemmo il miglior Sei Nazioni di sempre, con una sola partita sbagliata e due vittorie. Una con l’Irlanda… Inutile girarci intorno. Ci vuole tempo, anni, ma questo progetto ora non può aiutare nell’immediato la Nazionale se non con due franchigie che lavorano per migliorarsi” – ha ammesso Ghiraldini alla Gazzetta dello Sport. Un concetto ribadito recentemente anche da Lo Cicero: “(Le franchigie) Non vincono, non sono competitive. Chiediamoci il perché queste squadre non sono competitive. Noi non siamo, in questo momento, capaci di giocare ad alto livello e di mantenere l’alto livello perché l’evidenza in campo internazionale ti fa vedere questo. Io non penso che i giocatori non abbiano la voglia di dimostrare il loro valore, ce l’hanno, assolutamente, lo vedo, però non c’arrivano. C’è qualcosa che bisogna fare di diverso”.
simone.brugnoli@oasport.it
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