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Beach volley, World Tour 2017. Troppe “stelle” e poca sostanza: è un 2017 ai minimi termini

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Doveva essere l’anno del rilancio del World Tour, era stata presentata in pompa magna non più di quattro mesi fa come una stagione mai vista per la ricchezza di eventi, era stato introdotto il sistema delle “stelle” per catalogare i tornei che si sarebbero dovuti svolgere in tutto il mondo senza soluzione di continuità.

Alla luce dei fatti il World Tour 2017 può già essere catalogato, ancora prima di entrare nel vivo, nella categoria dei “flop”. Una statistica pubblicata ieri da un’esperta russa di beach volley, Natalia Galina, non fa che confermare questa tesi. E’ vero, il numero dei tornei è accettabile ma, oggettivamente, un torneo del World Tour che dura due giorni, si disputa in Australia, Malesia, nelle Isole Fiji, senza la presenza di diciotto delle prime venti coppie al mondo (e quindi lo spettacolo è piuttosto modesto), con la formula dell’eliminazione diretta che sconfessa quella che da sempre è stata la filosofia del beach volley, chi perde la prima partita ha una seconda possibilità, a cosa serve? Quanto contribuisce a far crescere il movimento e a divulgare uno sport che ha nello spettacolo il suo punto di forza? La risposta, al momento è: poco o nulla, visto che in questi tornei (che sono la maggior parte) sono bandite le qualificazioni, le coppie in tabellone sono 16 o 24, con posti riservati per i modesti binomi di casa (di secondo piano, perché quelli forti sarebbero comunque qualificati all’atto di iscrizione) e nessuno dei movimenti che veramente contano (Brasile, Usa, Europa) è attirato da tornei lampo dal montepremi simile ad un evento nazionale di medio livello.

Le statistiche dicono che nel 2013, anno post olimpico come il 2017, si giocarono 10 Grand Slam e 3 open (quelli che oggi possono essere comparati ai tornei 3, 4 e 5 stelle) con 936 partite nel main draw. Nel 2017 sono in programma 3 Grand Slam (uno dei quali si è già disputato totalmente fuori stagione, quantomeno per le coppie europee) e 8 tornei a 3 e 4 stelle, con un totale di 504 partite di main draw, poco più della metà. La rinuncia di Roma, ultima in ordine di tempo ma non certo unica da quando è stato reso noto il calendario 2017, ha cancellato dal programma l’unico torneo a 5 stelle, visto che Porec e Gstaad sono considerati Major Series. Ancora più impietoso il confronto tra il 2017 e l’anno olimpico 2016 che ha visto la disputa di 8 Grand Slam e 10 tornei Open (3 o 4 stelle attuali) per un totale di 1296 partite disputate in main draw, oltre due volte e mezzo in più rispetto a ora.

Difficilmente basterà il Mondiale di Vienna (che avrà, quello sì, una cassa di risonanza importante) per tenere in piedi un movimento che sembrava in decollo dopo i fasti di Copacabana e che invece rischia di incartarsi attorno ad un calendario senza certezze e a costi evidentemente troppo elevati. Nel frattempo i giocatori stanno rivedendo i loro piani. Nicolai e Lupo per primi erano partiti con l’idea di disputare quest’anno soltanto torneo a 4 e 5 stelle, Major Series e Mondiali ma stanno pensando di inserire in programma anche qualche torneo a 3 stelle per evitare periodi troppo prolungati di inattività. Peccato che tutto questo avvenga a stagione ampiamente iniziata: situazione impensabile per qualsiasi altro sport olimpico dove le certezze del calendario sono la base su cui costruire la stagione.

I giocatori europei, poi, sono sicuramente i più penalizzati da questa situazione visto che, a differenza degli statunitensi (con l’Avp) o dei brasiliani (con il circuito nazionale), non hanno altri circuiti a cui aggrapparsi per integrare il World Tour. Troppo debole il circuito approntato dalla Cev che, per le coppie di alto livello, si risolve nella disputa del campionato europeo in meno di una settimana, mentre gli altri tornei (Master compresi) spesso sono terreno di conquista di coppie di secondo piano.

A tutto questo si aggiunga il fatto che per il secondo anno negli ultimi tre la Fivb non ha avuto la forza (o la possibilità) di organizzare i tre Mondiali giovanili che sarebbero fondamentali per la crescita del movimento. Due anni fa zero mondiali, l’anno scorso tutti e tre, quest’anno uno solo, l’Under 21 a Nanjing e per fortuna la Cev mantiene i tre eventi giovanili continentali (U18, U20, U22) altrimenti le occasioni di confronto per i giovani a livello internazionale sarebbero praticamente nulle.

La strada presa, apparentemente, non è quella giusta e un ritorno al passato con meno “grandeur” e più sostanza è auspicabile ed è necessaria in gran fretta. Ne va del futuro di una disciplina che, di questo passo, potrebbe addirittura essere messa in discussione, nonostante gli enormi successi di pubblico e riscontri televisivi ottenuti nelle ultime due edizioni a Cinque Cerchi, nella sua presenza olimpica dal 2028 e magari entrare nel turn over che vorrebbe inserire il Cio per gli sport non di prima fascia.

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