Atletica

Nuoto: Italia, Paese di nuotatori? Il confronto con l’atletica è impietoso. Dal disastro di Londra 2012 al trionfo di Budapest mentre nella regina dello sport…

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Budapest e Londra sono state le due capitali dello sport mondiale in quest’estate 2017: da una parte le acque magiare hanno ospitato il darsi degli “squali” affamati di successo nella rassegna iridata del nuoto e dall’altra la Gran Bretagna è stata teatro del grande show della regina dello sport, l’atletica leggera.

Due facce della stessa medaglia, luce ed oscurità per l’Italia. Se il Bel Paese torna dall’esperienza ungherese con 16 medaglie all’attivo (4 ori, 3 argenti e 9 bronzi), nella competizione londinese il solo bronzo di Antonella Palmisano grida vendetta. Da dove si origina tutta questa differenza nelle discipline dove l’effetto “Globalizzazione” incide maggiormente? L’Italia, Paese di nuotatori?

La risposta non è così scontata e bisogna partire da lontano. Di fatto, 5 anni fa, nel nuoto in piscina le medaglie conquistate furono zero, niente sorrisi e tanta delusione tra una Federica Pellegrini deludente ed una squadra presa più da storie amorose chiuse e riaperte piuttosto che dalle gare. Un vero disastro che nell’Olympic Aquatics Centre di Londra  fu evidente agli occhi di tutti. Da quello score così magro tutto il movimento ha cercato al proprio interno delle soluzioni iniziando a coltivare in modo diverso i propri talenti. Tanti gli atleti persi a livello seniores che nelle gare giovanili promettevano fuoco e fiamme. E invece…Serviva una sterzata e la generazione dei Gregorio Paltrinieri e Gabriele Detti non ha fatto più sentire sola la Pellegrini, forse anche schiacciata dal peso della responsabilità di dover rappresentare ad alto livello un Paese. A Rio, certo, la “Divina” è giunta quarta e lì ancora atteggiamenti sul “Che bello, si va in vacanza” dopo una mancata qualificazione in semifinale non sono mancati ma i Cinque Cerchi hanno eletto Greg e fatto capire ad un ragazzo toscano che non è solo questione di talento ma anche di dedizione e pazienza. Così Detti ha scoperto di non essere solo il compagno di allenamenti di….ma un campione che poi in Ungheria ha suggellato il tutto con l’oro iridato negli 800 stile libero.




Voi direte: “Si ok, tre fenomeni ma poi?”. Argomenti ne abbiamo in proposito e forse il Gulash ha dato forza anche a chi non era già noto. Pensiamo ad una ragazza romana di nome Simona Quadarella, in grande evidenza da juniores, e che qualcuno aveva già bollato come “Medaglia mancata”, tipico dell’italiano medio che guarda lo sport solo dal pallottoliere, buono solo a criticare distruttivamente. E invece la romana, allenata da un altro grande fondista del passato di nome Christian Minotti, vince un bronzo nella Duna Arena nei 1500 stile libero di Katie Ledecky, abbassando il personale di 10″ e lasciando intendere che di margini di miglioramento ve ne sono ancora tanti, basti pensare alla carta d’identità: classe ’98. Non vi basta? Ci sono i primati italiani di Fabio Scozzoli (50 rana), tempi che l’emiliano non raggiungeva da prima del suo grave infortunio, di Arianna Castiglioni (50 rana), Piero Codia (100 farfalla) e di atleti che nella vasca di Budapest hanno realizzato il season best come ad esempio Luca Pizzini nei 200 rana, a un tiro di schioppo dal pass per la finale, o Alessandro Miressi in prima frazione di staffetta 4×100 sl mista. Crono e non invenzioni frutto di cosa? Di una programmazione diversa in cui la ricerca del picco massimo di forma è staro raggiunto nell’occasione che contava. Come ci si è arrivati? Rendendo i limiti degli Assoluti di Riccione meno “impossibili” facendo sì che la prestazione attesa al 100% non si sdoppiasse, cosa complicata.

E nell’atletica? Si piange, verrebbe da dire. Al di là del terzo posto citato della Palmisano la discesa italica non accenna ad arrestarsi e si ha quasi l’impressione che si voglia “curare un cancro con un’aspirina”. Scarsa programmazione, tanti atleti infortunati prima dell’evento clou e diverse controprestazioni quando è il momento di tirar fuori i cosiddetti. Una crisi iniziata da Edmonton 2001 e culminante nell’ultimo oro iridato firmato da Giuseppe Gibilisco nel 2003 a Parigi nel salto con l’asta. Gibilisco che, in un’intervista della Gazzetta dello Sport, ha detto a chiare lettere cosa fare: “Investire maggiormente nei tecnici, rivitalizzare i centri di allenamento e soprattutto non far sì che l’essere parte di un gruppo sportivo militare sia una sorta di vitalizio”. L’accusa del siracusano è chiara: poca competitività ed atleti che non migliorano restando ancorati alla mediocrità. Cosa dunque prendere dal nuoto? Senza dubbio un’organizzazione migliore dei centri federali ed una preparazione più adeguata con carichi di lavoro non causanti infortuni. E poi un lavoro sulla mentalità: qualificarsi ad un Mondiale non può essere una tappa d’arrivo. Nell’ultimo periodo, sulla sponda natatoria, è stata incentivata anche la partecipazione alle gare di Coppa del Mondo proprio per abituare gli atleti ad un contesto internazionale per non sentirsi “diversi” dagli altri. Nella specialità più antica invece  tutto alla giornata, pensando che basti il talento.

Di fatto scorrendo le statistiche si legge che i piazzamenti nei primo otto nei Mondiali d’atletica erano stati: Helsinki 1983 12, a Roma 1987 13, a Tokyo 1991 14, a Stoccarda 1993 10, a Göteborg 1995 13, ad Atene 1997 addirittura 15, a Siviglia 1999 13. Poi la caduta senza fine…Magari, guardando anche ad altri, si riuscirà a comprendere che così non si può andare avanti?

 

giandomenico.tiseo@oasport.it

Twitter: @Giandomatrix

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Foto: Deepbluemedia

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