Skeleton
Storia delle Olimpiadi Invernali: Nino Bibbia, il primo oro azzurro che vendeva la frutta col carretto…
C’era un ragazzo che per vendere meglio la frutta e verdura con la sua famiglia prendeva il proprio carretto e grazie ad un docile cavallo partiva da Bianzone, in Valtellina, e salendo per il Passo del Bernina riscendeva poi in Engadina, in Svizzera, andando a commerciare a Saint Moritz.
Quel ragazzo si chiamava Nino, di cognome Bibbia, e sarà per sempre il primo atleta italiano a vincere una medaglia d’oro olimpica nella storia delle Olimpiadi invernali.
Lo skeleton è una gara per duri e per matti. Lanciarsi a faccia in giù verso l’ignoto, cercando di aumentare sempre di più la velocità è per gente che ha una foresta di peli sullo stomaco.
Quando all’interno del Kulm Hotel, a Saint Moritz, gli ospiti inglesi di fine Ottocento si incontravano, spesso si raccontavano la loro noia. Giornate e giornate passate in mezzo alla neve, e poi in hotel nell’attesa del giorno successivo. Ci voleva qualcosa che scuotesse e desse l’adrenalina giusta per vivere una vacanza al massimo (non c’era ancora Vasco Rossi ma gli inglesi sono sempre stati un po’ irrequieti).
Per fare qualcosa di diverso quindi, questi ospiti inglesi incominciarono a costruire slitte con le quali creavano il panico nella cittadina dei Grigioni. Nessuno era più al sicuro con questa mandria di inglesi che scorrazzavano in strada con le loro slitte e per questo motivo si decise di fargli costruire una pista, così da non creare più nessun problema fra la gente e i tanti turisti che già affollavano Saint Moritz in quel periodo. Si iniziò a costruire da una Chiesa in rovina del XII secolo e si tracciò la pista lungo tre quarti di miglio, 1200 metri circa, con un dislivello di 157 metri. Si seguì il letto di un fiume e a fine lavori tutti erano felice di provarla, primi fra tutti ovviamente gli ospiti inglesi che, sempre per quella loro irrefrenabile noia che li ha portati a scoprire buona parte del mondo, hanno iniziato a scendere con la faccia avanti e non nella maniera classica appoggiando la schiena alla slitta.
Nacque lì, sulla quella pista che si chiamerà “Cresta Run” una nuova disciplina, lo skeleton, che in inglese vuol dire scheletro, quello che gli atleti mettevano sotto la loro pancia per poter scendere e rischiare ad alta velocità. Quando Saint Moritz organizzò le Olimpiadi invernali nel 1928, fu introdotto anche lo skeleton e vinse un americano, Jennison Heaton, seguito dal fratello John.
Non essendoci altre piste di skeleton al mondo, la disciplina ritornò alle Olimpiadi solo venti anni dopo, quando la torcia olimpica tornò a Saint Moritz.
Due mesi prima delle Olimpiadi, per Natale, un signore aveva cercato di appioppare a Nino Bibbia, il nostro protagonista che stava facendo consegne con il suo carretto, una slitta da skeleton al posto di una cassa di Chianti. Nino alla fine si fece convincere e iniziò a praticare quella nuova disciplina, dopo che per la stessa noia che aggrediva gli inglesi aveva già provato tutti gli sport invernali, eccellendo soprattutto nel bob sulla pista “Celerina” della città.
In Italia era impossibile trovare uno che facesse skeleton e quando il conte Bonacossa fece il suo sopralluogo per la squadra olimpica, iniziò a chiedere in giro se ci fosse qualche italiano immigrato o “viaggiatore” che sapesse scendere con la faccia in avanti. Gli indicarono il carretto dei Bibbia e parlando con Nino lo convinse. Alle Olimpiadi di Saint Moritz 1948 avrebbe gareggiato nelle due specialità del bob e nello skeleton.
Nel bob a 2, nel giorno di inizio delle gare, il 30 gennaio, con altre due manche per il giorno successivo, Nino, insieme al suo compagno Campadese, fece quattro discrete ottime prove classificandosi ottavo con il tempo totale di 5’38’’6.
Il 6 febbraio iniziò poi il bob a 4. Con Ronchetti, Campadese e Cavalieri si classificò sesto con il tempo totale di 5’23’’0.
Fra le due gare di bob, il 3 e il 4 febbraio, fu disputata la gara di skeleton sulla “Cresta Run”. Per le prime due si partì dalla parte più bassa della pista, la Junction. Nella prima discesa è quarto, a 7 centesimi dal britannico John Crammond, primo, sopravanzato anche dagli americani Johnson e Martin, ma prima del mito, quel John Heaton che era tornato a gareggiare venti anni dopo le Olimpiadi del 1928.
Nella seconda discesa fa il secondo tempo e sale al secondo posto in classifica. Il giorno dopo si riparte ma più in alto, dalla Top, sotto i resti della Chiesa del XII secolo e per Nino è la prima volta. Ma non si fa intimorire e si getta in discesa con ancora più coraggio. Fa due discese fenomenali e batte proprio il fenomeno, Heaton, argento anche 20 anni prima, e il britannico John Crammond, con un tempo complessivo di 5’23’’2.
Lasciando Saint Moritz, anche lo skeleton lascia di nuovo le Olimpiadi, anche se Bibbia continua a praticarlo e a vincere campionati svizzeri, Grand Nationals, per la precisione otto, e tre campionati del mondo nel 1955, 1959 e nel 1965, a 43 anni.
Quando lo skeleton tornò alle Olimpiadi del 2002 a Salt Lake City, sarà proprio Bibbia ad essere sempre citato come grande riferimento storico della disciplina e proprio a lui è intitolata la curva n° 10 della pista di Cesana Pariol costruita per le successive Olimpiadi invernali di Torino 2006.
Nino ha continuato a scendere con lo skeleton e vendere frutta e verdura nella ormai “sua” Saint Moritz e resterà l’unico italiano a vincere una medaglia in questa disciplina, prima di Mattia Gaspari, bronzo nel campionato mondiale juniores di Winterberg 2016.
Di Jvan Sica