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Coni, Giovanni Malagò: “Prima mi si dice di puntare sulle discipline più piccole, poi diciamo che non contano?”

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Giovanni Malagò, Presidente del Coni, ha rilasciato un’intervista all’Avvenire. Il romano traccia un bilancio sullo stato di salute dello sport italiano:Dobbiamo fare una necessaria premessa. Per lo sport è come per l’economica. Se non abbiamo più nascite, se stiamo con una popolazione inalterata, in troppi non producono più. A questo aggiungiamo poi che molte persone che vivono in Italia non sono riconosciute come italiane. Guardiamo le statistiche: negli ultimi 15 anni abbiamo perso 4,5 milioni di potenziali atleti nella fascia dai 14 ai 20 anni. Per fortuna è cresciuta la pratica sportiva nel tempo libero – lo dice l’Istat, non io – di 4,2 punti tra il 2013 e il 2016: vuol dire 2,5 milioni d’italiani in più che la praticano. Per me è come una medaglia olimpica“.

Si sta parlando da tanto della legge sullo ius soli: “Lo sport è laico e non vuole essere strumentalizzato, non ha partiti e colori e non deve averne. Ma non possiamo non essere a favore di questa legge, contro qualcuno che la cavalca solo per proprio tornaconto. E’ inaccettabile che i nostri figli stiano a scuola e si allenino con altri ragazzi, poi magari devono iscriversi a un campionato o salire di categoria, ma alcuni loro compagni non possono farlo. O, addirittura, dopo essersi formati in Italia non possono indossare la maglia azzurra. Così non si può competere ad armi pari con chi, invece, all’estero non ha preclusioni di questo tipo. Lo sport può non piacerti, quando lo fai, ma è un diritto avere la possibilità di farlo. Non può essere solo per pochi“.

Malagò analizza anche la situazione degli sport di squadra:Negli ultimi anni abbiamo vinto un titolo – europeo – solo con il softball, nel 2015. Però da una parte mi si dice che devo sostenere le discipline meno popolari, poi si pretendono risultati in quelle maggiori. Bisogna intendersi. Perché l’Italia che vince un bronzo mondiale nell’otto di canottaggio, dove gli atleti sono 9 con il timoniere, non è forse uno sport di squadra al pari e più di altri? E non conta la squadra delle sei splendide farfalle, le ragazze della ritmica che hanno vinto l’oro ai Mondiali di Pesaro e che vivono praticamente insieme tutto l’anno? Certo la nazionale di calcio è fuori dai mondiali. Ma appena un anno fa arrivò nei quarti dell’europeo. E, curiosamente, nel 2017 siamo arrivati nei quarti con le due squadre, maschile e femminile, nella pallacanestro e nella pallavolo. E sempre nei quarti, ma a livello mondiale, nella pallanuoto. Andiamo a vedere quante altre, fra le 206 Nazioni al mondo, hanno piazzato una squadra nazionale a tali livelli in tutti questi sport…“.

Il bilancio del numero 1 dello sport italiano è chiaro: La verità è che siamo un Paese dove facciamo tutti gli sport. Noi non lasciamo indietro nessuno. Se il Coni è apprezzato nel mondo è proprio perché abbiamo un modello universale di pratica. Sa, a esempio, che nella pesca sportiva abbiamo 200mila tesserati e siamo da sempre fra i primi al mondo? Noi andiamo avanti. Innanzitutto col processo di aggregazione per far sì che le nuove federazioni trovino una casa. E poi per liberare risparmi utili a realizzare la nostra missione“.

Si parla anche di un medagliere bloccato nelle ultime edizioni delle Olimpiadi: “E’ vero che è bloccato. Ma 30 anni fa c’erano l’Urss, la Jugoslavia…E il Coni aveva un contributo pubblico che, grazie al Totocalcio, era 3-4 volte superiore ai 400 milioni di oggi. Ricavi che ci garantivano proprietà e gestione di impianti che non ci possiamo più permettere. Oggi lo sport è un piatto che cuciniamo con pochi mezzi, come i 10 milioni dati per l’educazione motoria nella scuola primaria. Per questo cerchiamo accordi, anche coinvolgendo gli atleti come testimonial, per maggiori investimenti privati, dai quali per ora riceviamo 6 milioni annui“.





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