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Bob
Storia delle Olimpiadi Invernali: i mille trionfi e la vita tutta curve di Eugenio Monti
La vita può essere tutto tranne una pista libera, in perfetta discesa, dove si può arrivare al traguardo senza ostacoli da evitare o contro cui schiantarsi. La vita forse è più simile ad una pista da bob, dove serve essere insieme agli altri per vincere e dove dietro ogni curva ci può essere qualcosa per cui sorridere o addolorarsi. La vita di Eugenio Monti è una perfetta pista da bob, fra dolori e grandi soddisfazioni, e il suo traguardo sportivo è chiaro fin dall’inizio, una medaglia d’oro dove più conta, alle Olimpiadi.
Eugenio Monti da ragazzo è un prodigio dello sci alpino, riesce ad eccellere in tutte le discipline e lo fa con una maestria e un coraggio mai visti prima. Brera viene fulminato da questo ragazzo nel 1947 e non trova miglior soprannome che quello di Rosso Volante. Come per tutti i soprannomi che Brera conia per gli atleti, Rosso Volante è perfetto per Eugenio Monti: in primo luogo perché quel punto rosso dei suoi capelli che scende sulle piste bianche è una caratteristica speciale e poi perché l’ardimento con cui affronta le gare è un plus che pochi hanno. Il momento più bello della sua carriera da sciatore non sono tanto le vittorie nel campionato italiano in Slalom gigante e speciale ma quando nel 1950 batte Zeno Colò in discesa. Quello è il momento in cui tutti si accorgono che una coppia di grandi sciatori faranno volare in alto il nome dell’Italia per tutti gli anni Cinquanta.
Ma il 23 gennaio 1951 c’è la prima curva difficile da superare nella vita di Monti. Un terribile infortunio durante un allenamento al Sestriere porta alla rottura dei legamenti del ginocchio, seguito poi da un altro brutto infortunio l’anno successivo a Cervinia. Una rottura dei legamenti crociati di un ginocchio negli anni ’50 vuol dire fine delle attività sportive e così sarà per Monti e lo sci.
Ma nella prossima curva Eugenio decide di accelerare di nuovo e inizia a scendere e vivere la velocità con un altro mezzo, il bob. Tanto il suo traguardo è sempre lo stesso, la medaglia d’oro olimpica.
Si impegna non solo atleticamente e cambiando le sue logiche di allenamento, ma da diplomato all’Istituto scientifico ne fa anche un fatto tecnologico, creando un bob totalmente differente dagli altri con cui vince i Campionati italiani nel 1954. Da quel momento la sfida per raggiungere il suo traguardo è senza un attimo di pausa.
Nel 1957 con il suo amico di tante battaglie, Renzo Alverà, vince il campionato del mondo, mentre a Cortina nel 1960 vince i Mondiali sia nel bob a 2 che nel bob a 4. In mezzo, sempre a Cortina d’Ampezzo, ci sono state le Olimpiadi e la prima rincorsa del Volante Rosso all’oro. Ma arrivano due argenti, nel bob a 2 pesa poco la sconfitta perché la vittoria va a Italia I di Lamberto Dalla Costa e Giacomo Conti, di cui abbiamo già parlato, mentre la gara di bob a 4 è vinta dal quartetto svizzero. Poco male se solo la sfida potesse essere rilanciata quattro anni dopo ma non sarà così, perché a Squaw Valley 1960 per problemi economici nel costruire una pista adatta e nel trasportare dall’Europa agli Stati Uniti i mezzi, le gare di bob non furono disputate. Eugenio Monti continua a vincere titoli mondiali, ma ormai l’oro olimpico è più di un traguardo, è diventata un’ossessione.
Arriva Innsbruck 1964 e nel bob a 4 è bronzo, superato dall’equipaggio austriaco, argento, e canadese, oro, mentre è nella gara di bob a 2 che Monti ha la sua grande occasione. Lotta per l’oro a pochi centesimi di secondi di distacco dall’altro equipaggio italiano formato da Sergio Zardini e Romano Bonagura e dall’equipaggio britannico di Anthony James Nash e Robert Thomas Dixon. Prima della discesa decisiva ai britannici si spacca un bullone del loro bob e non hanno la possibilità di cambiarlo. Monti gli presto uno dei suoi. I britannici scendono e vincono la gara prima dei due team italiani, con Monti e Siorpaes ancora di bronzo. Per questo gesto fu il primo atleta a vincere la medaglia Pierre De Coubertin, mentre il Saint Moritz Bobsleigh Club gli dedicò un monumento, chiamato Monti’s bolt (il bullone di Monti) che è in uscita della curva 4 del tracciato ormai storico dell’Olympia Bobrun St. Moritz-Celerina.
Monti fu aspramente criticato dai giornalisti italiani che volevano una vittoria di uno dei team azzurri, ma Monti ribatté tutte le critiche. Era uno dei personaggi di quella meravigliosa Olimpiade, ma restava ancora il fatto che l’oro olimpico era di nuovo sfuggito. Si rimette a lavorare per quella che decide sia la sua ultima occasione: Grenoble 1968.
Arriva in Francia carico e, nonostante i suoi 40 anni, atleticamente in grande forma. Dall’8 all’11 febbraio sulla pista dell’Alpe d’Huez si tennero quattro manche assolutamente incredibili. Prima dell’ultima discesa Germania Ovest I era al comando e l’equipaggio di Eugenio Monti e Luciano de Paolis inseguiva a 10 centesimi. Gli italiani scesero a tutta e con una manche perfetta piazzarono un tempo di 1:10:05. I tedeschi non sbagliarono nulla ma al traguardo segnarono il tempo di 1:10:15. Monti e de Paolis erano riusciti a recuperare quei 10 centesimi di secondo. L’ex-aequo farebbe già felice il Volante Rosso che però ebbe finalmente un colpo di fortuna. Nel regolamento era scritto che a parità di tempi l’equipaggio che avesse il tempo di manche più veloce avrebbe vinto. Ed è così per Italia I che con quell’ultima incredibile discesa diede finalmente l’oro a Monti.
Rinfrancato dal traguardo ormai raggiunto, Monti guidò con la solita maestria anche Italia I nel bob a 4 e nelle due discese disputate (la terza e la quarta non furono disputate per problemi di tenuta della pista) e rivinse per soli 9 centesimi su Austria I il suo secondo oro olimpico nella stessa edizione.
Ecco la vita, ti prende per pochi centesimi e poi ti dà per 9 o 10 centesimi di secondo. Monti abbandonò l’attività dopo aver raggiunto il suo traguardo, anche se nella sua vita le curve sarebbero continuate ad esserci.
Di Jvan Sica