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PyeongChang 2018, le Olimpiadi come occasione di pace. Distensione tra le due Coree

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Nel mondo greco vi erano alcune leggi etico-morali, spesso chiamate leggi naturali o divine, che non potevano essere infrante per nessuna ragione: nella tragedia sofoclea dell’Antigone, la protagonista sacrifica la propria vita pur di rendere al fratello Polinice gli onori funebri, negatigli invece dal sovrano Creonte in quanto “traditore della patria”. Non vi sono decreti reali che permettano di “trasgredire le leggi non scritte, e innate, degli dèi“, afferma la stessa Antigone. Parimenti, nel corso dei Giochi Olimpici o di altre grandi festività, vigeva la cosiddetta ἐκεχειρία (letteralmente “mani ferme”), la tregua olimpica, durante la quale cessavano tutte le ostilità, sia tra città-stato (πόλις) che tra privati cittadini, al fine di permettere il regolare svolgimento della manifestazione. In particolare, i cittadini di πόλις nemiche potevano attraversare tranquillamente territori generalmente ostili per recarsi ad Olimpia, al fine di partecipare o assistere ai Giochi.

Tuttavia, anche nell’antichità non mancarono le eccezioni: lo storico Senofonte, nelle sue Elleniche (Ἑλληνικά), racconta che nel 364 a.C. vi fu addirittura uno scandaloso conflitto tra gli Elei e Pisa, città vicina ad Olimpia ed incaricata all’epoca dell’organizzazione dei Giochi. Un evento simile, con i dovuti distinguo, ci riporta a quanto accadde nel 2008, quando il conflitto sul confine russo-georgiano esplose proprio in contemporanea con le Olimpiadi di Pechino. Oggi, una tregua olimpica integrale sarebbe impossibile, viste le mille guerre, piccole e grandi, esistenti in tutti gli angoli del pianeta:; tuttavia, la rassegna di Pyeongchang 2018 sembra oggi rappresentare l’occasione ideale per distendere gli animi tra la Repubblica di Corea e la Repubblica Popolare Democratica di Corea, note più semplicemente come Corea del Sud e Corea del Nord.

Non va innanzi tutto dimenticato che, fino al 1948, la Corea era un unico Paese, con un’unica lingua e cultura, successivamente diviso dagli interessi statunitensi nella cosiddetta Guerra Fredda. Invero, dalla fine dell’800 fino al 1945, la penisola coreana era stata una vera e propria colonia dell’allora fiorente Impero Giapponese. Successivamente, quando la seconda guerra mondiale era già vicina all’epilogo, l’Esercito Rivoluzionario Popolare Coreano, sotto la guida di Kim Il-Sung, il nonno dell’attuale leader Kim Jong-Un, e di Kim Tu-Bong riuscì a sconfiggere l’invasore giapponese. A quel punto, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica si misero d’accordo per lo svolgimento di elezioni libere e democratiche in tutto il Paese, dopo le quali gli eserciti stranieri avrebbero lasciato la Corea. Nel 1948, queste elezioni, svoltesi su tutto il territorio coreano, videro la vittoria del Partito del Lavoro, composto principalmente da comunisti e guidato ancora una volta da Kim Il-Sung e Kim Tu-Bong. Gli Stati Uniti, che mantenevano il loro presidio nella parte meridionale della Corea, decisero, senza tener conto degli accordi presi, di organizzare una seconda tornata elettorale, valida solamente per la Corea del Sud e in cui avrebbero partecipato tutti i partiti tranne il Partito del Lavoro. Il risultato fu la formazione di un governo di centro, naturalmente filoamericano, e l’elezione di Rhee Syng-Man come primo presidente del Paese.

Da questo punto, la Corea divenne un “punto caldo” della Guerra Fredda, e la divisione tra le due entità, sebbene non riconosciuta ufficialmente dalle parti, ha dato vita a due Paesi differenti. Tuttavia, nel corso dei decenni non sono mancati i tentativi di riavvicinamento da parte dei due governi, quasi sempre bloccati più per volontà di Washington che di Pyongyang o Seoul. La volontà di una convivenza pacifica è ampiamente condivisa anche dalle popolazioni, tant’è che lo scorso aprile i cittadini sudcoreani hanno eletto alla presidenza Moon Jae-In, il quale si è detto favorevole ad una riunificazione pacifica delle due parti sotto un’unica bandiera, anche con il possibile mantenimento di due sistemi economici diversi. Il nuovo presidente sembra dunque voler rinverdire la Sunshine policy attuata dai suoi predecessori tra il 1998 ed il 2008, che aveva portato ad un riavvicinamento tra le due Coree, sia dal punto di vista economico che politico, fino all’inizio della nuova crisi. Il periodo della Sunshine policy, condotta soprattutto dal presidente Kim Dae-Jung (che per questo fu anche insignito del Premio Nobel per la Pace) è infatti ricordato come il più pacifico nella penisola coreana dal dopoguerra. L’elezione di e Lee Myung-Bak nel 2008, aveva invece rappresentato una svolta di netto deterioramento dei rapporti tra Nord e Sud.

A svelare la realtà dei fatti è stato proprio il neopresidente sudcoreano Moon, che vorrebbe affrancare la politica estera di Seoul dalle decisioni di Washington: secondo il capo di stato, la Corea del Sud “dovrebbe adottare una diplomazia di confronto con gli Stati Uniti, con la possibilità di dire di no agli americani” e “la Corea dovrebbe prendere le redini degli affari interni alla penisola coreana”. Non è un caso che, mentre il mondo salutava con gioia il riavvicinamento delle due Coree per l’occasione olimpica, a storcere il naso siano stati proprio gli statunitensi. Pyeongchang potrebbe dunque rappresentare un’occasione immancabile per i due governi coreani di prendere finalmente in mano il proprio destino per arrivare a quella pace mai firmata sin dalla Guerra di Corea.

 

giulio.chinappi@oasport.it





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