Scherma
Sport&Letteratura: la scherma raccontata dal regista Davide Ferrario in “Scherma. Schermo”
“C’è un altro senso in cui l’uso della maschera di scherma si apparenta al cinema. È qualcosa che ha a che fare con il ‘chiudere il mondo fuori’, che è esattamente quello che succede quando si spengono le luci in sala. Infilarsi una maschera consente di entrare in una sorta di suspension of belief, la sospensione della credibilità che sta alla base della visione di un film e di molte altre forme di rappresentazione scenica”. La scherma e il cinema possono incrociare delle singolari “lame”?
La risposta è senza dubbio affermativa se a parlarci di questo particolare rapporto tra pedana e camera è il regista Davide Ferrario nel suo libro Scherma. Schermo (Add, 2018) appena uscito in libreria. È più di un parallelismo quello che ci propone l’autore di Tutti giù per terra, il film del 1997 che lanciò l’allora giovanissimo Valerio Mastandrea. Come sottolinea lo stesso Ferrario nelle pagine del suo libro, è la scherma stessa, e non il cinema, a costituire l’esperienza principale della sua esistenza tanto da fargli scrivere che ”il mondo del cinema, senza la scherma non sarebbe stato la stessa cosa”. Sin dalle prime battute del libro, il regista torinese concentra giustamente la sua attenzione su uno degli elementi che rendono caratteristica la scherma: la maschera. In nessun’altra disciplina sportiva (a parte l’hockey su ghiaccio e solo parzialmente per il portiere), si indossa un qualcosa che oscura il volto dell’atleta e ne nasconde le emozioni e le reazioni durante le fasi di gioco. Ma dietro la maschera, c’è un groviglio inestricabile di passioni, tensioni e inquietudini che il mondo esterno non può vedere. Ed è lì che si manifesta la vera personalità dello schermidore, nascosto dalla quella griglia di metallo e al riparo da occhi indiscreti.
E quando gli schermidori si tolgono la maschera, allora si può capire bene lo stato d’animo di un’atleta e per far capire bene al lettore questa condizione mentale, Ferrario riporta nelle sue pagine uno scontro ormai leggendario, quello tra il nostro Alfredo Rota e il francese Hughes Obry durante la finale della spada maschile a squadre alle Olimpiadi del 2000. Vale la pena seguire il lungo racconto che Ferrario fa dell’assalto tra lo schermidore azzurro e l’atleta francese per comprendere al meglio il duello psicologico che va in scena sulla pedana di Sydney: “Anche se i volti sono coperti dalla maschera, le posture dei corpi raccontano perfettamente l’animo dei contendenti. Rota si muove attento soprattutto a non scoprirsi […] Obry è più spavaldo […] probabilmente sta già vedendo il film della vittoria della squadra di cui è capitano […] finché Rota lo trova, prende ferro in ‘terza’, lo porta in ‘seconda’ e va in affondo. E due. Siamo pari. […] Finisce il tempo, si va alla priorità. […] Vinciamo il sorteggio. Obry adesso deve per forza attaccare. Ma mentre si cala la maschera, si vede che ha la faccia di uno che sta per andare davanti al plotone di esecuzione. Rota, invece, è di ghiaccio. […] Dopo 22 secondi, con 38 ancora da usare, il francese si butta. Rota lo aspetta di nuovo lì dove l’ha sempre trovato, in ‘seconda’. Lo chiude in parate e risposta. Vittoria dell’Italia. Obry crolla sulla pedana come colpito da un fulmine. Rota si gira verso i suoi, allargando le braccia e scuotendo il capo, insieme incredulo e consapevole di essere salito in pedana con una strategia, di averla applicata e di avere vinto, con una forza fatta di pazienza e di attesa”.
Nel libro di Ferrario non potevano mancare, ovviamente, numerosi riferimenti a pellicole cinematografiche note e meno note. E così, sfogliando le pagine del regista torinese, possiamo leggere titoli come I duellanti di Ridley Scott con Keith Carradine e Harvey Keitel, Miekkailija del regista estone Klaus Haro e Black Magic con Orson Welles, solo per citare alcuni film ma il libro di Ferrario è anche l’occasione per celebrare la grande tradizione schermistica dell’Italia facendo egli parte della Nazionale Master di fioretto. È un volume agile, scorrevole e pieno di ironia dove, alle riflessioni sul cinema e alla passione per la scherma, si alternano aneddoti, episodi personali e vicende collettive. La pedana diventa così una maestra di vita dove la crescita personale si coniuga con il rispetto dell’avversario e delle regole (scritte e non scritte) della disciplina che da sempre è un serbatoio inesauribile di medaglie per il nostro Paese. E così, seguendo il suggerimento di Ferrario, possiamo provare anche noi a indossare una maschera ed entrare in un’altra dimensione, proprio come quando ci accomodiamo in una sala cinema e, attorno a noi, si spengono le luci.
di Simone Morichini
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(foto Bizzi per Federscherma)