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Basket, Finale Scudetto 2018: Milano ancora favorita, ma Trento ha tanta energia da mettere in campo
Prima sentenza della finale scudetto 2018: il fattore campo non è ancora stato violato. Nella serie che decreterà la regina del basket italiano, EA7 Emporio Armani Milano e Dolomiti Energia Trentino sono finora riuscite a far valere la loro supremazia casalinga, anche a costo di smentire qualche statistica di questi playoff: l’Olimpia aveva sempre vinto in trasferta e in gara-3 ha perso, l’Aquila aveva sempre espugnato il campo avversario in gara1 e in questa serie non ci è riuscita.
La serie ha finora mostrato due tendenze totalmente differenti nei punteggi e nell’atteggiamento visto in campo: al Mediolanum Forum di Assago, nelle prime due gare, s’è visto il ritmo altissimo imposto da Milano, mentre alla BLM Group Arena (ex PalaTrento) è emersa la pallacanestro di Trento, diversa per distribuzione e filosofia, con più ricorso al gioco interno e più fisicità messa in campo. Per fare un altro confronto, nelle prime tre partite l’EA7 ha tirato quasi le stesse volte da due e da tre punti (concetto piuttosto caro a tante squadre di Pianigiani), mentre la Dolomiti Energia ha sviluppato un’altra idea di basket, tesa più ad esaltare le doti di chi sa andar dentro l’area.
Questa è anche la serie dei presenti e degli assenti. Gli assenti, nello specifico, sono uno per parte. A Milano, per il momento, è stato sacrificato Jordan Theodore, vittima di un infortunio nel corso della stagione e che, come ha spiegato Pianigiani durante la serie contro Brescia, tornerà utile nel caso in cui ci fossero delle emergenze, allo stato attuale delle cose. A Trento, invece, manca Diego Flaccadori, il cui cuore dovrà essere sottoposto in tempi piuttosto brevi a un intervento. Se l’Olimpia sta rinunciando a un giocatore da 10,4 punti e 3 assist di media in campionato, all’Aquila difettano 8,8 punti di media e una percentuale del 32,6% da tre punti, nonché la quarta miglior percentuale della squadra in lunetta (74,7%).
Il più presente di Milano, nella serie, è senza dubbio Andrew Goudelock. Al netto di una gara-3 opaca, in cui ha fatto molta fatica (come, del resto, tutta l’Olimpia, tolti un po’ Jerrells, Bertans e Gudaitis), in gara-1 e gara-2 l’ex Lakers e Rockets ha messo in mostra tutto il proprio arsenale offensivo, con 25 e 26 punti e percentuali molto alte al tiro. Goudelock ha trascinato l’Olimpia in una gara-1 a senso pressoché unico, ma anche in una gara-2 che Trento aveva cominciato meglio giocando sullo stesso terreno di Milano, cosa che ha portato a un primo tempo da 104 punti complessivi (57-47), un numero del tutto inusuale per una finale scudetto. Al nativo di Stone Mountain si sono affiancati, a rotazione, ora Micov (16 punti in gara-1), ora Tarczewski (14 sempre in gara-1), ora Jerrells (27 in gara-2); assieme a lui, hanno mantenuto un atteggiamento di costanza Gudaitis e Andrea Cinciarini. Quest’ultimo, in gara-3, è diventato il giocatore con più assist nelle finali, superando l’ex Siena Terrell McIntyre. Deve invece ancora apporre il proprio marchio sulla finale Kuzminskas.
Per Trento, dovendo badare alle prime due gare, il migliore in campo sarebbe Shevon Shields, risultato per larghi tratti immarcabile dalla difesa milanese, come dimostrano i 31 punti di gara-1 e i 17 di gara-2. Gara-3, però, ha visto Shields cedere il ruolo di protagonista a Dominique Sutton e Dustin Hogue, che nelle prime due partite non avevano brillato. Particolare attenzione va posta su Hogue, perché nelle partite a Milano non era apparso in grande spolvero; al PalaTrento, però, s’è rivisto l’Hogue delle gare decisive nella serie contro Avellino, nonché di gara-4 contro Venezia. Ancora, l’accento va posto sull’energia messa in campo dall’Aquila: in gara-1, di fatto, gli uomini di Buscaglia erano stati dominati dal piano di gioco di Milano; in gara-2, avevano provato a giocare all’alto ritmo che tanto piace all’Olimpia, pagandone le conseguenze; in gara-3, hanno cambiato ancora strategia, buttandola sulla presenza difensiva e sull’energia, in attacco (30 tiri liberi guadagnati) come a rimbalzo (46 rimbalzi, e il bello è che non è il miglior dato di Trento in tal senso). Con questi accorgimenti, i trentini hanno potuto sopperire anche a un brutto 3/22 da tre punti in gara-3 (a proposito: Trento non ha mai preso tanti tiri da tre in questa finale; il peggior dato di Milano per tiri tentati da tre è di 27).
La serie vede ancora Milano coi favori del pronostico, ma quello che s’è visto nelle prime tre gare ha mostrato che Trento non è squadra che molla alle prime difficoltà. Gara-1 sembrava finita nel terzo quarto, e invece per poco l’Aquila non l’ha riaperta. Gara-2 era stata ribaltata da Milano, ma Trento ha provato a girarla un’altra volta in ogni modo. Gara-3 è stata un ulteriore emblema della mentalità dei ragazzi di Buscaglia, pressoché sempre in perfetto controllo della situazione con le armi a propria disposizione. Da una parte, c’è Pianigiani che, con Siena, di scudetti ne ha vinti cinque (il sesto gliel’ha revocato la FIP); dall’altra c’è Buscaglia che ha portato l’oggi Dolomiti Energia dalla terza serie nazionale (allora chiamata DNA) alla Serie A, poi ai playoff e infine a due finali scudetto di fila, affermandosi così come uno dei più quotati allenatori del nostro Paese.
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Credit: Ciamillo