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Il velodromo di Montichiari chiude a tempo indeterminato. Come uccidere il ciclismo su pista italiano

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Il velodromo di Montichiari, l’unico coperto in Italia, resterà chiuso a tempo indeterminato, probabilmente per svariati mesi. La scorsa settimana la Procura di Brescia aveva disposto il sequestro dell’impianto a causa di una documentazione non a norma sulla prevenzione degli incendi.

Ieri è arrivato il via libera da parte dei Vigili del Fuoco riguardo alla Certificazione sulla Prevenzione Incendi, tuttavia la Commissione Provinciale di Vigilanza ha stabilito che il velodromo non sarà riaperto finché non verranno risolti i problemi di infiltrazione che lo affliggono da ormai quasi un anno. Di fatto, dallo scorso autunno le Nazionali azzurre hanno dovuto fare i conti con la pioggia che, di tanto in tanto, faceva capolino con l’effetto di bagnare la pista, rendendola scivolosa e pericolosa (con tanto di pezze utilizzate dagli allenatori per tamponare l’umidità. Sì, questa è l’Italia).

La Regione Lombardia ha già fatto sapere di essere pronta ad accollarsi il 50% delle spese, mentre il Coni metterà a disposizione gli ingegneri per la progettazione. Conoscendo i tempi della burocrazia italiana, stiamo parlando comunque di tempi lunghi. C’è già chi vocifera che, nella migliore delle ipotesi, il velodromo non riaprirà prima della primavera 2019. I Campionati Europei Under23, in programma il prossimo mese di agosto, ovviamente non verranno disputati.

Questa storia, ennesimo e triste capitolo di una inefficienza amministrativa tipica nei nostri confini, potrebbe rappresentare la pietra tombale sul ciclismo su pista tricolore. La disciplina forse più in crescita in assoluto dello sport italiano, reduce da ben 4 medaglie in specialità olimpiche agli ultimi Mondiali, rischia di ripiombare nell’anonimato proprio adesso che era tornata a brillare dopo due decadi di declino.

Se ora i tecnici e gli atleti si stanno in qualche modo arrangiando tra i velodromi scoperti di Milano (Vigorelli) e Fiorenzula (non si tratta comunque di una rifinitura ideale in vista degli imminenti Europei di Glasgow), che cosa accadrà durante l’inverno? Senza un impianto coperto, sarà inevitabile andare all’estero, con un dispendio economico importante ed il rischio concreto che si decida di puntare solo su determinati elementi proprio per mancanza di risorse. E’ un po’ quanto accade negli sport invernali per lo slittino, che patisce a dismisura la mancanza di una pista in Italia nei confronti di altre nazioni come Germania, Stati Uniti e Russia.

Attualmente sono iniziati i lavori per la costruzione del velodromo coperto di Spresiano, in provincia di Treviso. Nella migliore delle ipotesi (e sappiamo quanto nel mondo delle costruzioni i tempi tendano sempre a dilatarsi…) sarà pronto nel gennaio 2020, sei mesi prima delle Olimpiadi di Tokyo 2020. Potrebbe risultare utile, dunque, per affinare la preparazione a cinque cerchi, ma cosa accadrà nei 16 mesi intermedi? Filippo Ganna, Elia Viviani, Simone Consonni, Elisa Balsamo e Letizia Paternoster dovranno vivere da nomadi ed affrontare le qualificazioni olimpiche (che inizieranno proprio agli Europei di Glasgow) in condizioni di svantaggio rispetto alla concorrenza. A questo punto, le ambizioni in vista dei Giochi giapponesi andranno obbligatoriamente riviste verso il basso. Se per rivedere la luce sono serviti quasi 20 anni, per tornare nell’oblio è sufficiente una scellerata gestione che ha portato alla chiusura dell’unico velodromo disponibile. Nessuno si assume la responsabilità. E intanto il ciclismo su pista muore…

federico.militello@oasport.it





Foto: Twitter Federciclismo

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