Calcio

Italia-Germania 2-0, Mondiali 2006: il ricordo di un trionfo che abbiamo preferito dimenticare…

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No, non è un errore dell’autore. L’argomento è Italia-Germania del 2006. E’ vero, è in corso la rassegna iridata del 2018 e tra qualche giorno avranno inizio i quarti di finale. Mondiali che non ci vedono protagonisti, eliminati da chi c’è ed è tra le migliori otto squadre, ovvero la Svezia.

Ma veniamo al ricordo. Era il 4 luglio 2006, il match era quello al Westfalenstadion di Dortmund (Germania) e la Nazionale azzurra di Marcello Lippi si giocava l’accesso alla Finale contro i padroni di casa tedeschi, che mai erano stati sconfitti su quel campo. Un fortino nel quale il tifo fa tremare le gambe e paralizza.

Non fu così per i ragazzi nostrani, determinati, umili e coraggiosi. Un successo all’italiana, forte della solidità difensiva e della creatività tipicamente del Bel Paese. Come definire altrimenti la realizzazione di Fabio Grosso, a pochi minuti dai calci di rigore (dopo che i tempi regolamentari si erano chiusi sullo 0-0)? Un tiro a giro di sinistro micidiale, sull’imbeccata geniale di Andrea Pirlo, su cui il portiere teutonico Jens Lehmann non può nulla.

Abbracci, urla e cronisti impazziti. Un momento unico che racchiude in pochi istanti perché il calcio è lo sport più bello del mondo. Non è finita però, mancano ancora degli scampoli di partita e, sull’anticipo imperiale di Fabio Cannavaro, contropiede guidato da Francesco Totti, assist al bacio di Alberto Gilardino e marcatura di Alessandro Del Piero, in quella porta dove i suoi tiri avevano scosso i cuori bianconeri contro il Borussia Dortmund in Champions League. Finisce così una partita incredibile, condita da pali e traverse in quei supplementari da leggenda.

Sappiamo poi come è andata contro la Francia. Lo score lo conosciamo ma, forse, abbiamo dimenticato come quel successo si sia originato. Un gruppo solido, fatto di calciatori di qualità ma di unità di intenti e voglia di soffrire, difendersi e ripartire. Ecco, giocare in contropiede, in verticale e fare quello che l’Italia ha sempre fatto. Negli ultimi anni, forse anche un po’ invidiosi dalle vittorie altrui, si pensava che bastasse “travasare” il modello spagnolo e poi quello tedesco per cambiare.

Il risultato è stato una perdita di identità comportante eliminazioni cocenti, polemiche e delusioni. Certo, alcuni calciatori del 2006 mancano come il pane, ma come filosofia, forse, bisognerebbe riscoprire quali sono state le basi del trionfo in Germania per ripartire. Il calcio è uno sport di squadra ed il singolo viene esaltato da un collettivo organizzato. Valorizzare ciò che siamo sempre stati, adeguandolo ai tempi moderni, è così delittuoso? 

Assistere da spettatori ad una rassegna, a distanza di 60 anni, fa male. Constatare il successo di alcune compagini, che basano il loro principio di gioco su qualcosa che noi abbiamo creato, colpisce maggiormente.

 





 

giandomenico.tiseo@oasport.it

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Foto: Fabio Diena / Shutterstock.com

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