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Wimbledon 2018: è il giorno della finale maschile. Novak Djokovic per la quarta, Kevin Anderson per la sorpresa. Quanto incideranno le rispettive fatiche pregresse?

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Un’altra edizione del torneo di Wimbledon, la numero 132, si sta per concludere. Anche se la fine effettiva si avrà con la finale di doppio misto, con impegnato il padrone di casa Jamie Murray in coppia con Victoria Azarenka, il clou della giornata è riservato alla finale maschile, che vedrà affrontarsi Novak Djokovic, alla caccia del quarto titolo a Wimbledon, e Kevin Anderson, alla sua seconda finale Slam della carriera.

Dopo l’incredibile sequenza di eventi legata alle due semifinali, la vera domanda che un po’ tutti si stanno ponendo è: chi si sarà ripreso nel modo migliore? Starà meglio Anderson dopo le oltre sei ore e mezza contro John Isner o Djokovic dopo le cinque ore e un quarto spezzettate in due parti quasi uguali contro Rafael Nadal? Mettiamo un po’ d’ordine.

Il serbo, tre anni fa, si è trovato in una situazione quasi identica a quella di venerdì e ieri. Al Roland Garros, la sua semifinale contro Andy Murray fu interrotta in pieno quarto set per un allarme pioggia poi non concretizzatosi in chissà quale misura. Il giorno dopo, Djokovic perse il set 5-7, salvo poi volare via per vincere 6-1 (il quinto). Quello sforzo lo pagò in finale, quando cedette a Stan Wawrinka in quattro set, anche se va detto che quel giorno lo svizzero era in uno stato di trance agonistica non indifferente. Quest’oggi, la situazione si ripeterà, ed è difficile prevedere le condizioni reali nelle quali si presenterà il tre volte vincitore dei Championships. Se dovessimo andare a prendere il puro lato tecnico, il favorito d’obbligo sarebbe lui, perché a Wimbledon ha ritrovato molte delle qualità tennistiche che lo hanno fatto grande: le grandi risposte, il mix di solidità e aggressività, tanto per dirne due. Certo, tende a prendersi qualche minuto di pausa in alcuni momenti, ma quello succedeva anche alla sua versione RoboNole. Il problema è che, essendo il tennis uno sport diabolico ed essendosi verificate tutte le particolarità dei giorni scorsi, tutto si riduce a quel singolo quesito: quale sarà la condizione fisica, ma soprattutto mentale, del serbo al suo ingresso in campo? La sfida contro Nadal è stata anche una lotta di testa, di continua ricerca del particolare che poteva far pendere la partita in suo favore, e il quinto set è stato una perfetta illustrazione di questo concetto sull’uno e sull’altro fronte. E il tennis, spesso e volentieri, parte proprio dal cervello, dalle energie mentali che si possono spendere in una partita.

Dall’altra parte, c’è un Kevin Anderson che, nella sventura di aver impiegato il più lungo tempo di una semifinale Slam di sempre per battere Isner, è stato perfino fortunato: ieri si è potuto allenare senza dover pensare a riprendere una partita. Semmai, come testimoniano le immagini, ha dovuto cambiare maglia: all’AELTC non si può entrare nei campi se non si veste di bianco, e lui vestiva arancione. L’uomo che (non considerando Kevin Curren, che nel 1985 aveva da poco preso il passaporto americano) ha riportato il Sudafrica in finale a Wimbledon dopo quasi un secolo potrebbe avere, quest’oggi, più speranze di quante non gliene vengano generalmente accordate, se non altro perché i suoi schemi preferiti, col servizio e col dritto, non sono mai venuti meno: così è stato nella rimonta contro Roger Federer, così è stato nella maratona contro John Isner. E poi c’è un precedente, che probabilmente sia lui che Djokovic ricordano benissimo: Wimbledon 2015, terzo turno. Anderson si inerpicò fino ad andare in vantaggio di due set, entrambi risolti al tie-break, poi il serbo rimontò, vinse 7-5 al quinto e si portò a casa anche lo Slam in finale su Federer. Quello è stato anche l’ultimo incontro tra i due giocatori ad oggi, ed è quello che riafferma il motivo per cui il sudafricano più di un pensiero al bersaglio grosso può farlo; certamente sono maggiori le sue possibilità odierne rispetto a quelle che aveva agli US Open 2017 contro Nadal.

Tra i due giocatori ci sono, complessivamente, sei precedenti: cinque li ha vinti Djokovic, uno, il primo, l’ha vinto Anderson. Era il 2008, si giocava il secondo turno di Indian Wells e il sudafricano, che veniva dalle qualificazioni, sorprese l’allora numero 3 del mondo, che ammise di non saper nulla di lui e di non averlo mai visto. Dieci anni dopo, è cambiato tutto, compresi l’obiettivo e la conoscenza reciproca dei due. E questa, va ribadito, non sarà solo una battaglia di tennis. Forse mai come oggi sarà davvero una questione di forze rimaste, di testa, di quello che gli stessi tennisti affermano che conta per ben oltre il 50% in una partita.





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Foto: action sports / Shutterstock.com

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