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US Open 2018: Novak Djokovic, l’uomo dei 14 Slam. Sampras è raggiunto, ma al serbo non basta
Novak Djokovic fu. Favorito alla vigilia, profeta alla fine. Il serbo ha mantenuto ciò che il pronostico gli richiedeva alla vigilia, al di là di discorsi legati alle teste di serie, perché dei più forti quello maggiormente in forma era lui. E l’ha saputo dimostrare alla stessa maniera delle occasioni in cui era numero 1 del mondo.
Quattordici: tanti sono gli Slam vinti dal nativo di Belgrado, che ha così raggiunto Pete Sampras al terzo posto nella graduatoria dei plurivittoriosi. Soltanto una quindicina di anni fa il record dell’americano di origini greche sembrava impossibile da scalfire. Poi sono arrivati in rapida sequenza Federer, Nadal e Djokovic, e Pistol Pete non è più lo stesso termine di paragone di prima, pur rimanendo un giocatore tra i più rispettati della storia del tennis.
C’è una strana ricorrenza multipla del numero 3 in questo Slam vinto da Djokovic: tre sono le volte che ha vinto gli US Open; terzo è il posto che aveva Del Potro nel ranking ATP prima dell’inizio del torneo; tre sono i set vinti in finale; infine, terzo è il nuovo posto in classifica del serbo. Numeri particolari, che esaltano il suo ritorno ai vertici.
Forse il tempo di RoboNole è terminato, ma questo Djokovic minaccia di essere ugualmente pericoloso. Il serbo, infatti, oltre ad esser arrivato a 2315 punti da Nadal e 455 da Federer nella classifica tradizionale, è a poco più di mille punti dallo spagnolo nella Race to London, che ricomprende i risultati del singolo anno in corso e viene utilizzata per determinare i qualificati alle ATP World Tour Finals (o, per i nostalgici, al Masters). Dal momento che sia il mancino di Manacor che il campione di Basilea hanno moltissimi punti in scadenza, potrebbe accendersi in maniera inattesa la lotta per la prima posizione alla fine dell’anno, perché Djokovic di punti da scartare non ne ha più: l’anno scorso la sua stagione è finita a Wimbledon.
Vale la pena fare un’altra considerazione: il trentunenne di Belgrado, fino a maggio, non era riuscito a combinare quasi nulla, tra un cambio di allenatore e l’altro. Poi è tornato con Marian Vajda, e i risultati si sono visti: nell’ordine, si contano la semifinale di Roma (persa da Nadal), i quarti al Roland Garros (persi da Cecchinato), la finale al Queen’s (persa da Cilic), le vittorie a Wimbledon, Cincinnati e US Open, intervallate soltanto dal terzo turno a Toronto (perso da Tsitsipas). Le sole annate in cui Djokovic, da maggio in poi, è stato più performante sono quelle 2011 e 2015, cioè gli anni in cui ha dominato il mondo del tennis. Il 2018 non è e non potrà mai essere a quel livello, perché le sconfitte dei primi quattro mesi dell’anno contano, ma di certo ha fatto rivedere al mondo anche la sua stella. Perché già uno Slam non si vince per caso (vale per Djokovic come per chiunque), ma due di fila dicono che una svolta, neanche tanto piccola, c’è stata. E dovrà essere guardata con attenzione.
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federico.rossini@oasport.it
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Credits: Leonard Zhukovsky / Shutterstock