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US Open 2018, la rivincita di Nishikori e la facilità di Djokovic. Che facilità per Keys e Osaka

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Un solo match veramente emozionante nella giornata numero 10 degli US Open, che ha visto completare il quadro dei quarti di finale maschili e femminili. Ne sono rimasti solo in otto, equamente divisi per sesso. Dalla prossima giornata di incontri, non ci saranno più maschi e femmine impegnati contemporaneamente: da alcuni anni, il giovedì è riservato alle semifinali femminili, il venerdì a quelle maschili, il sabato alla finale delle donne, la domenica a quella degli uomini.

Se Naomi Osaka si è liberata con fin troppa facilità di Lesia Tsurenko, mai in partita e apparsa stanca nel confronto con la prima giapponese a raggiungere le semifinali di uno Slam dal 1996 (allora fu Kimiko Date), per Madison Keys la prospettiva era quella di una battaglia contro Carla Suarez Navarro. Niente di tutto ciò: un break per set, 6-4 6-3 e semifinale. Il messaggio, molto semplice, spedito dall’americana è che alla finale del 2017 non ci è arrivata così, per grazia ricevuta. Ci è arrivata per meriti tennistici: ora la prova definitiva per confermare il risultato di un anno fa passerà da una ragazza giapponese con origini haitiane.

Dal Giappone al Giappone, da Naomi Osaka a Kei Nishikori. L’uomo che si vide tolti da Marin Cilic gli US Open 2014 si è vendicato: d’accordo, è un quarto di finale e non una finale, però il luogo, l’Arthur Ashe Stadium, è lo stesso. I cinque set del duro incontro hanno visto un termine quando Cilic è stato tradito dal servizio, non efficace come nelle sue migliori edizioni, ma anche col suo caratteristico marchio di fabbrica: il dritto. Il giapponese è per la terza volta in semifinale agli US Open, decisamente il suo miglior Slam, ma questo è forse il percorso più bello, vista la difficoltà, a inizio anno, di tornare dall’infortunio che lo aveva fermato a cavallo tra 2017 e 2018.

Come in un deja-vu rovesciato, ad affrontare Nishikori ci sarà Novak Djokovic, che ha posto fine in maniera brusca ai sogni di gloria di John Millman. Anche il serbo si è dovuto arrendere alla legge dei tanti errori gratuiti che l’australiano fa commettere (53 in questo caso), ma, a differenza dei suoi tre illustri predecessori in questo torneo, ha trovato subito il bandolo della matassa: servizio esterno costante e nessun punto di riferimento. Ora, il penultimo atto, per l’ex numero 1 del mondo, sarà lo stesso che lo vide perdere in una mattina newyorkese del 2014 in cui si materializzò l’uscita di scena sua e di Roger Federer (per mano di Cilic) nel giro di pochissime ore.





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federico.rossini@oasport.it

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Credits: Rena Schild / Shutterstock

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