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US Open 2018: tra il ritorno di Carla Suarez Navarro e la caduta di Roger Federer

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La mattina della noia maschile e della tensione femminile, la sera dei cataclismi. Si può riassumere così ciò che è successo agli US Open nell’ottava giornata, il secondo lunedì del torneo: i match maschili della prima parte della giornata non hanno praticamente offerto spunti di riflessione, mentre quelli femminili sono stati l’emblema di quanto conti la testa in questo sport. Poi, a sera, sono arrivati l’incanto di Carla Suarez Navarro e il tracollo di Roger Federer.

Nel tabellone maschile, tutta la sessione del mattino americano è stata davvero avara di soddisfazioni. Qualcosa l’ha offerto giusto il terzo set di Nishikori-Kohlschreiber, col giapponese che ha impiegato un quarto d’ora in più del dovuto per continuare la propria striscia positiva nei confronti del tedesco. Una cosa simile, anche se l’andamento è diverso, accade tra Cilic e Goffin, con una differenza: il croato veniva da una battaglia durata fin quasi alle due e mezza di notte ed ha portato facilmente l’incontro a casa, il belga recrimina per il recupero fallito nel tie-break del primo set e per le occasioni mancate a fine terzo. Non del tutto inaspettatamente, dunque, si replica la finale del 2014, che consegnò l’unico Slam della sua vita a Cilic e l’unica finale a Nishikori.

Novak Djokovic non ha faticato molto per battere Joao Sousa. Soltanto per cinque minuti, quelli del break a zero a inizio secondo set, il portoghese è parso in grado di dar vita a una partita diversa da quella prevista da tutti gli osservatori. La sua corsa prosegue.

Poi arriva la notte di Roger Federer. Anzi no, non arriva. Perché quella con John Millman è una sconfitta di quelle che fa male a Roger, per tante ragioni. Non aveva mai perso agli US Open con qualcuno fuori dalla top 50, così come Millman non aveva mai vinto in carriera contro un top 10. Più dei set point falliti (due nel secondo set, uno nel terzo), sono gli errori gratuiti dello svizzero che lasciano pensare: tanti (76), incomprensibili, con l’apice dei dieci doppi falli e ancor più dei due di fila nel tie-break decisivo. L’australiano i suoi meriti li ha, perché ha saputo un’altra volta interpretare un gran match, il suo, e di nuovo ha fatto giocar male il suo avversario, che questa volta era il suo idolo. Dall’altra parte, la sensazione diffusa è che questa sconfitta, per Federer, sia tra le peggiori mai patite nell’arco dei suoi 393 incontri a livello di Grande Slam. Un’altra statistica che testimonia quanto sia stata negativa la giornata del numero 2 del mondo riguarda la prima di servizio: l’ha messa nel 49% dei casi. Questo è il suo secondo peggior dato in 98 match agli US Open (il peggiore, sia a New York che in assoluto, è il 47% degli ottavi del 2001 contro Agassi).

Qualsiasi cosa se ne dica, oggi gran parte del vero senso del tennis come sport mentale l’ha mostrato il tabellone femminile.

Si legge “38 errori gratuiti di Maria Sharapova“, si può leggere anche “Carla Suarez Navarro“. La spagnola è tornata ai fasti di qualche anno fa, mostrando che lo stereotipo del tennis femminile fatto solo di accelerazioni, bordate, colpi tirati a volte senza un perché, semplicemente è, appunto, uno stereotipo. Carla quel tipo di tennis non l’ha mai giocato, preferendo invece la sagacia tattica, aiutata da un rovescio a una mano di cui, a un certo punto, le esponenti maggiori nel circuito WTA, alcuni anni fa, erano tre: lei, Francesca Schiavone e Roberta Vinci. E oggi s’è ripresa il suo posto nell’élite mondiale, tornando dov’era già stata nel 2013, stavolta con la prospettiva di affrontare Madison Keys, che ha battuto in modo molto netto Dominika Cibulkova.

C’è Sabalenka-Osaka, che ha messo in mostra nel primo set la solidità della giapponese e nel secondo un mix di potenza, rovescio e gioco a rete della bielorussa. Nel terzo set, invece, c’è stata la guerra di nervi. Aryna Sabalenka, numero 26 del seeding, ai primi US Open, stava per raggiungere i quarti di finale, ma si è fermata. Ed è successo perché, a un certo punto, ha smesso di macinare, lasciando il pallino della situazione a un’avversaria, Naomi Osaka, che se lo trova, ne dispone senza tanti problemi, come succede anche stavolta. Dall’altra parte, la bielorussa ha prima un po’ perso la pazienza, poi ha del tutto perso la partita. Poteva essere il suo giorno, e invece è stato quello di una ragazza che non ama parlare molto: preferisce dimostrare.

E poi c’è Vondrousova-Tsurenko. Scena: nuovo Grandstand, sole in picchiata, oltre 30 gradi, giocatrici in campo. Più che una partita, per un po’, è una battaglia di sopravvivenza: di tennis c’è veramente poco da dire, qui si parla di volontà umana. In un modo o nell’altro, l’ucraina, piegata in due dal caldo, arriva al tie-break, lo perde, va sotto nel secondo set e poi si riprende andando anche a vincere, mentre dall’altra parte della rete la ceca si ritrova a sua volta vittima di problemi a una coscia, anche se non disdegna un disperato tentativo di recupero nel finale dopo aver avuto un drastico calo a inizio terzo set. Per la Tsurenko è il primo quarto Slam e anche una bella soddisfazione da dividere col suo coach, Adriano Albanesi da Roma, col quale viaggia per il circuito fin dal torneo del Foro Italico.





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federico.rossini@oasport.it

Credits: lev radin / Shutterstock

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