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Tennis, la buona stagione di Fabio Fognini. E’ mancato ancora l’ultimo step per la top10

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La parola che si può associare alla stagione di Fabio Fognini è: costanza. Molti potranno stentare a crederlo, visti gli alti e bassi che si sono susseguiti nella carriera del ligure, ma la realtà dei fatti del 2018 dimostra che tale vocabolo è corretto, e rappresenta il principale motivo per cui oggi è numero 14 del mondo.

In attesa dell’ultimo suo torneo stagionale, il Masters 1000 di Parigi Bercy (domani giocherà con l’ungherese Marton Fucsovics), possiamo già tracciare un bilancio del 2018 del nostro giocatore, particolarmente positivo se si vanno a guardare le semifinali raggiunte nel corso dell’anno: nove, di cui otto in ATP 250 e una in un ATP 500, quello di Pechino. Il bilancio, però, si sarebbe potuto arricchire di un paio di elementi di spessore: Roma e Roland Garros. Nel primo caso, al Foro Italico c’è stato un set di speranza, prima che un certo signore maiorchino di nome Rafael Nadal dimostrasse che un solo, piccolo calo dell’avversario può risultare fatale per l’esito del match. Nella seconda occasione, va ricordato l’ottavo di finale con Marin Cilic, in cui Fognini ha rimontato due set al croato giocando un tie-break del quarto set che ha fatto urlare il suo nome a tutto il Court Philippe Chatrier, prima di cedere in un lottatissimo quinto parziale a una delle migliori versioni sul rosso del suo avversario. L’avesse battuto, ci sarebbe stato un bellissimo quarto di finale con Juan Martin Del Potro.

A tal proposito, il successo sull’argentino nella finale di Los Cabos ha segnato il primo trionfo su una superficie diversa dalla terra del ligure, a ulteriore dimostrazione della sua capacità di rendere bene anche fuori dal terreno in cui è ormai tra i primi cinque al mondo. In questo senso, si ricordano gli ottavi agli Australian Open (eliminato da Tomas Berdych in tre set, poco prima dei continui problemi di schiena del ceco), la finale raggiunta a Chengdu con Bernard Tomic, vinta dall’australiano in modo rocambolesco, e la semifinale di Pechino con Del Potro mai giocata per leggero infortunio palesatosi nel quarto con Fucsovics. Non si tratta di una novità, perché di ottimi risultati di Fognini sul cemento se ne ricordano tanti: il terzo turno a Montreal 2007 a inizio carriera, gli ottavi a Indian Wells e Miami nel 2014, la semifinale sempre a Miami nel 2017, gli ottavi agli Australian Open 2014 e agli US Open 2015 con la celebre rimonta su Nadal a suon di vincenti.

Tra tutti questi risultati, però, manca quello necessario per fare il salto verso i primi dieci, distante ad oggi poco più di 1000 punti (lui ne ha 2315, Grigor Dimitrov 3335, anche se il bulgaro ha in scadenza i 1500 punti delle ATP Finals 2017, che non potrà difendere). Il 2019 può fornirgli degli spunti decisi per due grandi ordini di ragioni: le sue più pesanti cambiali in termini di punti ne valgono 250 (e sono quelle di San Paolo, Bastad e Los Cabos, i tre tornei vinti quest’anno), e in più può raccogliere tantissimo dai 1000 sulla terra, perché togliendo i 180 punti di Roma, ci sono i 45 di Montecarlo e i 10 di Madrid, che sono pochi per uno che fa del rosso la sua principale riserva di punti, pur non disdegnando, come abbiamo già visto, le superfici rapide. A quel punto, la ciliegina sulla torta sarebbe il ritorno ai quarti al Roland Garros, che manca da quel match senza alcun senso logico contro Albert Montañes che gli costò due mesi lontano dai campi nel 2011. In tutto questo ragionamento, chiaramente, bisogna sempre tener conto dell’esistenza degli avversari, che possono sempre fare il bello o il cattivo tempo. Stavolta, però, la differenza la può fare lui, Fabio Fognini da Arma di Taggia: a 31 anni, ancora non è giunto il momento della resa, ma è ancora tempo di lottare per un obiettivo che al tennis italiano maschile manca da otto lustri.





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federico.rossini@oasport.it

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Credits: Alessio Marini

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