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Volley femminile, intervista a Davide Mazzanti: “Le giocatrici al centro del progetto. Ora c’è la fila per la Nazionale. Per Tokyo 2020 dovremo sudare”

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ESCLUSIVA OA SPORT – Piano piano, tra una foto per strada a un autografo al barista, Davide Mazzanti come le sue magnifiche ragazze del volley si sta rendendo conto di ciò che è accaduto in Italia durante la cavalcata mondiale in Giappone. Un fiume di nuovi seguaci del volley donne, di fans sfegatati di Egonu e compagne conquistati a suon di attacchi vincenti, di difese mirabolanti, di vittorie e prestazioni incredibili per una squadra il cui percorso è tutt’altro che casuale ed è frutto di un lavoro minuzioso, ideato e studiato anche nei minimi particolari da Mazzanti stesso e dal suo staff.

Io per primo ho cambiato il mio modo di allenare affrontando questa avventura in Nazionale – spiega Mazzanti, parlando dell’avventura in azzurro, sfociata nell’argento di Yokohama – prima mi approcciavo alla squadra come un buon meccanico, cercavo di controllare, vedere quello che non funzionava e metterci mano per risolvere i problemi e far funzionare al meglio i meccanismi. Magari veniva fuori anche un buon lavoro ma notavo che la crescita dei singoli era relativa. Ero io al centro della riparazione, ero io che dovevo fare. In Nazionale ho seguito nuovi insegnamenti e mi sono messo a fianco delle giocatrici, ho messo al centro loro in questo progetto. Il mio lavoro è quello non di imporre delle regole o solo di correggere degli errori ma di plasmare le regole stesse assieme alle giocatrici, di alzare l’asticella al loro fianco e stupirmi con loro dei progressi fatti. Quello delle pallavoliste è un popolo di conservatrici: ‘non rischio perché così non sbaglio’ a volte è la parola d’ordine e si gioca aspettando l’errore delle rivali o la prodezza delle compagne. Io chiedo di rischiare di più, ovviamente ponderando le scelte perché sbagliare troppo non porta da nessuna parte. La libertà di cui si è parlato tanto sui media analizzando la mia filosofia non è fare quello che si vuole in campo ma la libertà di commettere anche un errore in più se questo errore mi porta la prossima volta, o quella dopo, a sapere come mettere in difficoltà le avversarie e noi dalla prima partita della Nations League all’ultimo pallone della finale con la Serbia di errori costruttivi ne abbiamo fatti tanti”.

Un percorso fatto di gradini, a volte altissimi da scalare, quello affrontato dalla Nazionale di Mazzanti in questa stagione. “Supportato però dalla consapevolezza avuta sin dai primi allenamenti di poter mettere in difficoltà qualsiasi avversario – prosegue il tecnico marchigiano – non ho mai avuto dubbi sulle qualità della mia squadra, a partire dalle prime partite della Nations League, da una estate difficile, nella quale abbiamo lavorato sulla costanza di rendimento che era l’aspetto più importante in un torneo come il Mondiale in cui si giocano 13 partite in 20 giorni se si arriva in fondo e molte di queste sono sfide dentro o fuori, il cui esito va dimenticato un minuto dopo l’ultimo punto. In Giappone non c’è stato un attimo in cui mi sono reso conto che potevamo arrivare in finale. E’ stata un’escalation, scandita da momenti problematici, iniziata con la prima gara difficile, contro la Turchia e proseguita contro la Cina, con un primo set da dimenticare, poi contro la Russia e quel set e mezzo di crisi e via via fino ad arrivare alla vittoria con la Cina in una partita che nessuno di noi dimenticherà mai”.





Sono tre i tie break che Mazzanti, assieme a tutta l’Italia che pulsa per l’azzurro del volley, non dimenticherà, quello con il Giappone che ha aperto alla squadra azzurra le strade della finale, quello con la Cina che ha portato le italiane in finale e quello con la Serbia che ha spento il sogno d’oro delle Ragazze Terribili. “Non racchiuderei tutto nei tre tie break ma analizzerei queste partite nel suo insieme, perché il tie break è la conseguenza dei quattro set precedenti – spiega l’allenatore – quando mi si chiede se vorrei rigiocare gli ultimi tre punti della finale rispondo che a quel punto rischierei di dover rigiocare anche gli ultimi tre punti con la Russia, gli Usa, il Giappone e la Cina, giusto per dire che il bicchiere va visto sempre mezzo pieno e noi di cose buone nei momenti decisivi ne abbiamo fatte. Sono state partite vinte o perse sul filo di lana. Con la Cina, dopo un buon primo set, abbiamo giocato anche un buon secondo parziale sprecando tanto in contrattacco e la strada si è complicata, con la Serbia abbiamo tenuto altissimo il livello della battuta nel primo set, poi siamo calati in questo fondamentale che contro una squadra con quelle caratteristiche era importantissimo. Nel sistema di attacco, sul lungo periodo, questa squadra tende a perdere lucidità e forse questo aspetto ci è costato caro in finale. Eravamo la squadra più giovane del Mondiale, abbiamo ampi margini di miglioramento nella continuità di rendimento, nella efficacia di battuta, attacco e contrattacco. Possiamo ancora dare molto di più e sono certo che lo daremo”.

Una mano tesa per il futuro, quel futuro che, secondo tanti addetti ai lavori, è da predestinati ma Davide Mazzanti non perde occasione per gettare acqua sul fuoco in vista dei prossimi appuntamenti internazionali e in particolare Tokyo 2020. “A chi ci dice che, dopo il secondo posto in Giappone, vinceremo le Olimpiadi rispondo che prima bisogna andarci alle Olimpiadi e la strada è tutt’altro che facile – prosegue l’allenatore azzurro – ci aspetta ad agosto 2019 un torneo di qualificazione secco a quattro squadre dove l’avversaria più forte sarà uno dei top team del Mondiale. Si parla dell’Olanda ma vedremo e, se non andrà bene in quella occasione, di un torneo con le europee che non si sono qualificate al primo turno con tante ipotetiche rivali fortissime. Pensiamo prima ad andarci e poi a fare il meglio possibile. Gli equilibri cambiano in fretta nel mondo del volley femminile. Noi siamo più avanti di altre nazioni nel processo di rinnovamento del gruppo e questo ci dà un buon vantaggio ma sicuramente nazionali come Brasile, Russia e gli stessi Usa che per le giocatrici giovani ha un processo tutto suo di crescita, non staranno certo a guardare. Il Brasile a livello giovanile pesca in un mare abbastanza ampio di giocatrici, la Russia forse non avrà troppe giovani prontissime da qui a un anno o due ma se inserisce Goncharova e Kosheleva nella squadra del Mondiale scorso diventa molto complicata da battere, la Serbia può contare su un nucleo fortissimo, i risultati sono sotto gli occhi di tutti, così come l’Olanda. Insomma nulla è facile e nulla è scontato: il secondo posto di oggi non è un viatico per il primo di domani che va conquistato con sudore e sofferenza”.

A proposito di giovani, nel week end inizia il campionato di A1 con il Club Italia che lancerà tanti altri volti nuovi ad altissimo livello.Il reclutamento e la qualità delle giovani italiane in questo momento preciso è l’ultimo dei problemi – dichiara, secco, Mazzanti – ci sono tante ragazze brave, non solo al Club Italia e sono convinto che cresceranno a tal punto che, in vista degli appuntamenti internazionali del 2019, ci sarà la fila per la maglia azzurra. Poter scegliere è sempre la condizione migliore per un allenatore, che poi deve evitare errori nella scelta stessa. I settori giovanili stanno producendo tanto e il Club Italia sta facendo il suo dovere, il sistema sta funzionando bene anche grazie alla qualità degli allenatori, alle capacità delle ragazze che ora crescono in fretta e non dobbiamo fermare assolutamente questo meccanismo”.

Il problema, a breve, potrebbe diventare un altro, quello di non disperdere le giocatrici che, per diversi motivi, non riusciranno ad entrare nel giro azzurro.Vedo ragazze che sei o sette anni fa erano ritenute molto interessanti a livello assoluto perdersi per strada, magari per mancanza di motivazione dopo aver fallito l’aggancio con il treno azzurro. Vorrei dire a tutte che si può maturare anche dopo i 23/24 anni e a quell’età si può sempre rientrare in un progetto azzurro. E’ vero, Egonu, Pietrini, hanno alzato l’asticella ma non per forza quello deve essere il nostro modello di riferimento. Siamo disposti ad aspettare la crescita delle ragazze anche dopo l’età post-adolescenziale perché a volte certe giocatrici hanno dei miglioramenti repentini attorno ai 25 anni e non vedo perchè non possano rientrare in azzurro. Per questo stiamo studiando assieme alla Federazione un progetto che ci permetta di non disperdere tanto talento, non so se si chiamerà Under20/20 come quello dell’anno scorso o con un più generico Nazionale B o non so come ma sarebbe importante creare un gruppo che magari abbia anche qualche sfogo a livello internazionale che possa fare da serbatoio e possa far crescere giocatrici di qualsiasi età che riteniamo comunque interessanti in prospettiva azzurra”.





Tra le donne quello del reclutamento non è un problema, tra gli uomini sì e si è già arrivati alla condizione di dover rimpiangere l’addio all’azzurro di un solo giocatore (Juantorena) che in questo momento sembra insostituibile.Ho parlato tante volte di questo problema con Blengini e siamo arrivati alla conclusione che, ancora una volta, siamo schiavi dei risultati. Lasciamoli crescere questi ragazzi, magari a 20 anni fanno qualche errore in più ma a 25 saranno pronti ad affrontare le sfide più dure. Si lascia troppo poco margine ai giocatori giovani e subito li si massacra se sbagliano due o tre partite, andando a cercare il marpione di turno per sostituirli. L’unica ricetta che ho è quella: poca fretta e qualche sconfitta in più che potrà diventare vittoria in prospettiva. Quando la coperta è corta bisogna cercare di affrontare il problema di petto ed allungarla. Ho vissuto questa condizione ad inizio Nations League, sentivo scetticismo attorno a questa Nazionale, il classico ‘dove vuoi arrivare con questo gruppo di ragazzine’. Il gruppo di ragazzine è arrivato tanto in alto e sono convinto che anche a livello maschile ci si possa togliere ancora tante soddisfazioni“.

 





Foto Fivb

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