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Ciclismo, Gilberto Simoni: “Gli anni in cui ho corso non mi sono piaciuti, risultati modificati. L’UCI non fa il bene di questo sport”

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Gilberto Simoni è tornato a parlare concedendo un’intervista a tuttobiciweb, il vincitore di due Giri d’Italia ha appeso la bicicletta al chiodo nel 2010 e da quel momento si è allontanato dal mondo del ciclismo, continuando comunque a seguire le varie gare. Lo scalatore ha provato a trovare le differenze tra il suo ciclismo e quello moderno: “Il ciclismo è cambiato molto ed è normale che sia così. Si è modificato il mezzo, la preparazione dei corridori e l’interpretazione delle corse. Le novità tecnologiche hanno fatto sì che questo sport si migliorasse sempre di più; la vita è andata avanti e con essa anche il ciclismo. Non poteva essere altrimenti. Solo la fatica e le smorfie dei corridori sono rimaste le stesse. Gli anni in cui ho corso io non mi sono piaciuti per niente. Non c’è un risultato che non sia stato contestato, modificato o addirittura cancellato. Non rimpiango niente di quel periodo. Il ciclismo di oggi invece mi piace, è moderno ma mantiene qualcosa di eroico. I corridori sono molto seguiti e preparati alla perfezione, ma rispetto ai miei tempi sono meno costruiti e il fisico conta davvero. All’ultimo Giro d’Italia vedere i capitani darsi battaglia faccia a faccia, senza timore, mi ha fatto divertire molto“.

Gibo si è soffermato anche sul Team Sky che “fa storia a sé. Ha un budget troppo superiore alle altre squadre e oltre ad avere un sacco di fuoriclasse, ha anche i campioni del futuro. Spero che non scompaia, ma che si ridimensioni. Dovrebbero accontentarsi di vincere meno, dimezzare il budget e magari puntare su meno capitani. Penso che il ciclismo ne gioverebbe da tutti i punti di vista. Però è un simbolo del ciclismo moderno, quindi spero possa rimanere in gruppo in qualche modo“. Simoni, se fosse stato ancora un professionista, averebbe preferito il Tour de France 2019 visti i pochi km a cronometro e ha poi analizzato la scelta di Vincenzo Nibali che parteciperà a entrambe le grandi corse a tappe nella prossima stagione: “Con le qualità che ha sicuramente può fare bene sia a Giro che Tour. Poi è chiaro che ci vuole anche una buona dose di fortuna per poter portare a casa un risultato in tutte e due le corse, deve andarti tutto bene, senza avere cadute, forature o quant’altro. E poi vince solo uno. Nibali comunque è un corridore che mi piace, ha sempre dimostrato grandi capacità e dedizione. Mi sarebbe piaciuto correre con lui prima di ritirarmi”. C’è spazio anche per parlare di Fabio Aru dopo un 2018 difficile: “Un’annata storta che può capitare a tutti. È un corridore tutto sommato ancora giovane, che penso possa tornare sui suoi livelli. Ha vinto una Vuelta da giovanissimo, che non sempre è una fortuna visto che poi bisogna convivere con grandi pressioni, non solo dall’ambiente esterno, ma anche da te stesso, che speri di alzare l’asticella sempre di più“.

Il futuro del ciclismo italiano nelle grandi corse a tappe non sembra essere dei migliori: “Sicuramente i giovani fanno fatica a emergere. Se si pensa che io, pur avendo vinto due volte il Giro, per svariati motivi ho corso solamente due Mondiali, anche se la Nazionale aveva 13 posti, si capisce come oggi ci sia meno qualità. Premesso che forse avrei meritato di correrne qualcuno in più, nel ciclismo italiano di oggi basta poco per venire convocato. Questo perché l’UCI e la Federazione non fanno il bene del ciclismo. Per me è una vergogna che una squadra Professional non abbia un calendario prima dell’inizio della stagione. Ho corso in questa categoria nei miei ultimi anni di carriera e non capisco perché nessuno faccia qualcosa. Una squadra con 25 corridori, che sono dei posti di lavoro, con degli sponsor a sostenerli, che non sa a quale corsa parteciperà per me è inconcepibile. Deve sperare per tutto l’anno nell’elemosina degli organizzatori. Le Continental invece si prostituiscono a destra e a sinistra, corrono un po’ con gli Under 23 e un po’ coi professionisti. Persino gli amatori hanno un proprio calendario di corse…“.

 

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Foto: Lapresse

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