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Tennis, il 2019 di Fabio Fognini. Sarà la volta buona per l’agognata top10?

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Parte da Sydney, nella seconda settimana del calendario ATP, la stagione 2019 di Fabio Fognini. Il ligure, alla soglia dei 32 anni, comincia l’anno dal numero 13 del ranking, a 840 punti dal decimo posto, occupato dal gigante buono di Greensboro John Isner.

Una posizione tra i primi dieci è ormai uno dei pochi obiettivi che mancano a Fognini, che lo scorso anno ha aggiunto tre tornei alla sua bacheca, tra i quali l’ATP 250 di Los Cabos, con cui ha messo a segno la prima affermazione su una superficie diversa dalla terra (in questo caso il cemento), peraltro di fronte a Juan Martin Del Potro. E l’argentino, com’è noto, non è proprio un nome qualsiasi, tanto più che poche settimane dopo è tornato a giocare una finale Slam a New York.

Per raggiungerlo, l’uomo di Arma di Taggia dovrà fare affidamento su una maggior costanza di risultati nei Masters 1000: lo scorso anno, nei sette che ha disputato, ha raggiunto i quarti soltanto a Roma. I tornei in cui l’azzurro può fare, senza particolari problemi, punti in più sono quattro: Indian Wells, Miami, Montecarlo e Madrid. Sebbene sul cemento, i primi due 1000 vedono Fognini difendere complessivamente solo 55 punti (10 a Indian Wells, 45 a Miami). Quanto ai due tornei restanti, il fatto che si giochino sulla terra rossa può far scattare in Fabio l’istinto di chi, su questa superficie, ha tutte le qualità per figurare tra i migliori interpreti del pianeta. Se è vero che Madrid è un torneo un po’ particolare a causa dell’altitudine della capitale spagnola, è altrettanto vero che Montecarlo porta al taggiasco ricordi felici e amari insieme: si passa dalla semifinale raggiunta nel 2013 alla sconfitta negli ottavi contro il francese Jo-Wilfried Tsonga dell’anno dopo che fece da preludio a tempi difficilissimi per lui.

Sia sul piano personale che su quello tennistico il raggiungimento di una certa stabilità ha certamente aiutato Fognini ad arrivare molto vicino a una meta che al tennis italiano maschile manca da quarant’anni abbondanti. Per arrivare alle prime 10 posizioni del mondo, l’azzurro ha previsto una prima parte di stagione simile a quelle passate: Melbourne, Australian Open, quindi la Gira Sudamericana dei tornei sul rosso prima di Indian Wells e Miami (e non è del tutto peregrino pensare che possa giocare anche Acapulco, da alcuni anni passata al cemento per la felicità di vari top player). Senza, per ora, andare troppo in là con lo sguardo, la prima speranza è di vederlo diventare l’italiano col terzo ranking più alto della storia, superando il 12° posto di Paolo Bertolucci nel 1973, agli albori della classifica computerizzata. L’altro obiettivo sicuramente alla portata è quello dei 10 tornei vinti, finora raggiunti dal solo Adriano Panatta nell’Era Open (andando più indietro, al tempo in cui imperava la divisione dilettanti-professionisti, ci sono gli oltre 40 trionfi di Nicola Pietrangeli, per anni il migliore al mondo sul rosso). A differenza di Panatta, però, Fognini finora un torneo veramente importante non l’ha ancora portato a casa: al netto delle contingenze storiche di quest’epoca tennistica, ci vuole più di un ATP 500 e sette ATP 250 per portare a casa i punti necessari al grande salto. Dovesse riuscirci, il passo potrebbe sembrare piccolo, ma, come ha insegnato sua moglie Flavia Pennetta nel 2009, anche la scalata dal numero 13 al numero 10, apparentemente di poco conto, può generare il celebre effetto farfalla teorizzato, in ben altri ambiti, da Edward Lorenz.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: Alessio Marini

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