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Atletica
Atletica, Mario Lambrughi: “In Italia scarseggiano gli allenatori professionisti. Sogno la finale ai Mondiali”
ESCLUSIVA OA SPORT – Mario Lambrughi è un atleta cresciuto per gradi. Fino a 17 anni praticava basket, senza eccellere, poi la decisione di cimentarsi con i 110 ostacoli nell’atletica presso la pista di Vedano al Lambro (MB). Una pubalgia lo fermò per tutto il 2013. Da quel momento, insieme all’allenatore storico Simone Vimercati, maturò la decisione di provare i 400 hs: fu amore a prima vista. Il classe 1992 ha compiuto ogni anno dei passi avanti significativi, fino a stampare un importante 48″99 all’inizio della stagione 2018, quarto miglior tempo di sempre in Italia sulla distanza. Successivamente una serie sfortunata di infortuni ha impedito al biassonese di prendere parte agli Europei di Berlino. Comprese le cause di tali acciacchi fisici, l’ostacolista italiano ha apportato dei correttivi per riprendere l’ascesa verso il gotha dell’atletica internazionale, sognando una finale ai prossimi Mondiali di Doha. Dopo averci parlato diffusamente del problema dei corpi militari nel Bel Paese, Lambrughi ha analizzato ancor più nello specifico i mali dell’atletica italiana, soffermandosi poi sugli obiettivi personali fissati per la stagione alle porte.
Innanzitutto come stai? Raccontaci quanto ti è accaduto nello sfortunato 2018.
“A maggio, ad inizio stagione, feci il 48″99 a Rieti. Una settimana dopo mi sono procurato uno strappo al bicipite femorale destro in allenamento. Sul momento però non ci siamo accorti della gravità dell’infortunio. Mi faceva male, ma riuscivo comunque a correre. Per questo ho continuato ad allenarmi ed ho partecipato al Golden Gala, dove poi mi sono ritirato a metà giro. Probabilmente il non essermi fermato subito ha peggiorato la situazione. Dallo strappo ho recuperato in 30-40 giorni, ma sempre al Golden Gala mi è venuta una fascite plantare che mi ha costretto a stare fermo 2 mesi ed a saltare gli Europei. Sono tornato in tempo per i Campionati Italiani a settembre, dove questa volta mi sono strappato il bicipite femorale sinistro“.
Tanti infortuni così ravvicinati non possono essere un caso. Ti sei dato una spiegazione?
“Il mio fisico non era ancora pronto al nuovo potenziale che ho raggiunto. La velocità è cambiata, quando punti a superare il limite il corpo va inevitabilmente sotto sforzo. Forse alcuni muscoli necessitavano di più tempo per metabolizzare il cambiamento“.
Quali correttivi hai apportato per evitare il ripetersi di tali problemi fisici in futuro?
“Ho cambiato allenatore. Mi sono affidato ad Alessandro Nocera, che ha sede a Torino e da cui vado 2-3 giorni alla settimana. Mi alleno al Parco Ruffini con altri velocisti come Cattaneo e Manenti. Nocera è uno dei pochi allenatori professionisti in Italia. Quando mi alleno a casa, mi segue ancora Vimercati. Mi sto trovando bene con i nuovi allenamenti, ora ho qualcuno che mi segue costantemente. Vimercati è bravissimo, ma purtroppo lavorava fino alle 17.00 e questo mi costringeva quasi sempre ad allenarmi da solo“.
Quali sono le cause della crisi atavica dell’atletica italiana?
“Una è rappresentata dai corpi militari, di cui abbiamo già parlato. Sono pochi gli atleti che possono vivere di atletica senza far parte di un gruppo militare. Per me le cose sono cambiate in meglio perché sono entrato a far parte dei 40 del gruppo Elite della Fidal. Credo che la Federazione dovrebbe fornire un sostegno economico maggiore agli atleti di vertice. Qui vincendo non si mette da parte niente: il primo posto al Campionato Italiano dà ‘zero euro’. In Francia gli atleti firmano contratti di 2 o 4 anni e vengono supportati economicamente, ma se non ottengono risultati il rapporto si chiude. Io credo che un atleta debba essere costretto ad andar forte per avere degli stimoli, cosa che con lo stipendio fisso non accade. Un altro problema è quello degli infortuni, è difficile trovare sempre medici all’altezza in Italia“.
L’atletica nostrana è organizzata sul decentramento e solo di tanto in tanto si svolgono dei raduni della Nazionale al completo a Formia. Puoi raccontarci la situazione?
“A Formia andiamo una volta al mese per una settimana. Secondo me fa bene ritrovarsi e confrontarsi con altri atleti, anche di discipline diverse. Alcuni però non sempre vengono. Sarebbe interessante provare un raduno permanente. Il problema è che mancano gli allenatori professionisti, in Italia non sono più di 5 o 6“.
Il grigiore è dunque destinato a durare?
“Se non cambia il sistema, sicuramente sì. La Fidal e lo stesso direttore tecnico non hanno colpe secondo me. Dovremo affidarci ai risultati delle stelle Tortu, Tamberi, Vallortigara, Stano e Palmisano“.
Cosa ti aspetti dal 2019?
“Voglio stare bene prima di tutto. Nel 2018 ho chiuso da 23° al mondo con due gare disputate. A maggio feci 48″99 e non ero in forma perché ancora pienamente sotto carico. Mi aspetto un miglioramento cronometrico sensibile, vorrei correre poco sopra i 48″. Ai Mondiali l’obiettivo è la semifinale, il sogno la finale”.
Il record italiano di Fabrizio Mori nei 400 hs è oggettivamente fuori portata (47″54)?
“Nel 2019 sicuramente è inarrivabile. Però bisogna pensare sempre a migliorare, io anno dopo anno ho sempre superato i miei limiti, talvolta anche di un secondo. E’ difficile, ma mai dire mai“.
Di recente la Norvegia con Karsten Warholm ed i fratelli Ingebrigsten ha dimostrato come i bianchi possano vincere nell’atletica anche in un contesto mondiale. Qual è la tua idea in proposito?
“Credo che contino impegno e motivazioni personali. Il segreto dei neri in questi anni è stato quello di avere motivazioni maggiori, non la genetica. Infatti i norvegesi stanno dimostrando che, con allenamenti e sacrifici, si può vincere“.
federico.militello@oasport.it
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