Editoriali
Dominik Paris è grande. Ora deve diventare grandissimo
Dominik Paris, già oggi, va considerato come uno dei più grandi sciatori italiani di tutti i tempi. I numeri d’altronde non mentono: nella classifica nazionale relativa alle vittorie in Coppa del Mondo, l’altoatesino è salito al quarto posto affiancando Piero Gros a quota 12 e portandosi a -1 da Kristian Ghedina. Inarrivabile resta Alberto Tomba a 50, mentre in seconda piazza si trova un altro mito come Gustavo Thoeni con 24.
Il prossimo obiettivo del nativo di Merano diventa quello di agganciare e superare Ghedina: a quel punto anche le statistiche lo incoronerebbero come miglior velocista azzurro della storia (ammesso che non lo sia già).
Paris, comunque vada, verrà ricordato come un talento purissimo. Ha vinto per tre volte a Kitzbuehel e per due a Bormio, probabilmente le due discese più difficili al mondo dal punto di vista tecnico. Alla collezione delle grandi classiche mancano ancora Wengen (dove proprio non riesce a digerire la curva stretta all’uscita dal tornantino), Garmisch e Beaver Creek, ma avrà tempo in futuro per provarci.
Stiamo parlando di un discesista completo, dotato di una scorrevolezza innata e facilitata da una massa muscolare impressionante, bravo a spingere sull’acceleratore laddove tanti alzano il piede.
Dominik Paris, dunque, è certamente un grande dello sci italiano e come tale verrà ricordato. A questo punto, però, dovrà salire l’ultimo gradino per diventare grandissimo. Sinora sono numerose le similitudini con Ghedina, anche se l’altoatesino appare complessivamente più completo rispetto all’ampezzano. Entrambi hanno vinto numerose gare, ma mai la Coppa del Mondo di discesa (per utilizzare una metafora ciclistica, si sono rivelati più dei cacciatori di tappe che degli uomini di classifica), così come non sono mai riusciti a vincere un oro in un grande evento. Sia Ghedina sia Paris sono stati al massimo vice-campioni del mondo, senza mai fregiarsi infine di un podio alle Olimpiadi.
La grande differenza, tuttavia, è che uno dei due campioni in oggetto si è ormai ritirato da tempo, l’altro invece si trova nel pieno della propria maturità agonistica. 30 anni da compiere ad aprile, Paris può regalarsi almeno altre sei/sette stagioni ai massimi livelli, arrivando magari fino ai Giochi del 2026 (che l’Italia spera di ospitare a Milano e Cortina, si deciderà a giugno): negli ultimi due decenni, infatti, l’età media dei velocisti è cresciuta e, di pari passo, l’esperienza gioca un ruolo sempre più determinante. Non è un caso che tanti atleti del passato abbiano dato il meglio di sé addirittura dopo i 33 anni (pensiamo, tra gli altri, allo svizzero Didier Cuche o al nostro Peter Fill).
Le occasioni dunque non mancheranno, starà a Paris riuscire a capitalizzarle. Perché un oro olimpico o mondiale può cambiare completamente il volto di una carriera, rendendo leggendario un campione già affermato. Sinora l’azzurro ha faticato nei grandi eventi per svariati motivi. Come abbiamo visto, gradisce molto i fondi ghiacciati che si trovano solitamente nei mesi di dicembre e gennaio. Nel corso dei grandi eventi, tuttavia, le temperature più miti sovente fanno sì che la neve sia molto più morbida ed aggressiva, fattore che in passato ha messo Paris in difficoltà. Nelle gare di un giorno, dove in poco meno di due minuti ti giochi tutto o niente, la pressione ti assale e gioca un ruolo determinante. Aggiungiamoci, infine, che quasi sempre i titoli olimpici ed iridati vengono assegnati su piste che nulla hanno a che vedere con la Streif o la Stelvio, e dove dunque fare la differenza per l’italiano risulta molto più arduo.
Paris ha raggiunto l’apice dal punto di vista tecnico, fisico e mentale. E’ entrato nella fase del raccolto e con una consapevolezza tale da poter vincere in qualsiasi contesto. Con i norvegesi Aksel Lund Svindal e Kjetil Jansrud alle prese con svariati acciacchi fisici, attualmente è forse il discesista più completo al mondo insieme allo svizzero Beat Feuz. Dovrà dimostrarlo ora anche nella gara secca, quella che può aprire le porte dell’immortalità sportiva. Per diventare finalmente un grandissimo.
[embedit snippet=”adsense-articolo”]
Clicca qui per mettere “Mi piace” alla nostra pagina Facebook
Clicca qui per iscriverti al nostro gruppo
Clicca qui per seguirci su Twitter
Foto: Lapresse
Luca46
25 Gennaio 2019 at 19:24
È da tempo che mi chiedo se a livello di testa è un Hirscher o un Shiffrin perchè a mio avviso per il fisico e la tecnica di cui dispone sarebbe l’unico a poter contendere la coppa generale ad Hirscher. Secondo me ha tutte le possibilità per essere più continuo nelle discipline veloci e di poter stare nei 30 in slalom e gigante. Mi chiedo se sta estraendo tutto da se stesso, se questo è il massimo che può fare oppure se gli va bene così.
Fabio90
25 Gennaio 2019 at 20:56
Qui si dovrebbe poi aprire un altro tema a dir poco inspiegabile. Se si vedono calendario e classifiche è una coppa del mondo sempre orientata verso gli slalomisti! Eliminando i fenomeni Hirscher e Shiffrin,vedo persino i “perdenti” nei confronti di Hirscher avanti a grandi discesisti..e poi scopri che per un motivo che non è dato sapere vi è una gara di slalom in piu rispetto alla discesa e forse persino una gara in piu di gigante rispetto al superG, e se ci aggiungiamo le gare di parallelo ( che sono evidentemente favorevoli agli slalomisti) e volendo anche le combinate dove forse anche sono avvantaggiati gli slalomisti ( ma qui non lo so magari sbaglio) ne esce un quadro dove mi pare ovvio siano inspiegabilmente favoriti, questo aldilà poi degli esiti della classifica generale,se si vedono gli albo d’oro, tra gli uomini mi pare ci sia predominanza infatti di slalomisti, tra le donne magari no,ma è ovvio che se ci sono periodi in cui capitano fenomeni in discesa e una maggiore concorrenza nello slalom allora vince la Vonn della situazione; ma il punto è perchè ogni specialità non ha lo stesso numero di gare? mi sembra la base proprio per una classifica giusta e regolare ( o almeno eliminare questa buffonata di paralleli)