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Sanremo 2019. Prima serata: IL PAGELLONE: Loredana Bertè: il graffio della pantera. Cristicchi emoziona, Nek da riascoltare

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SIl primo ascolto, le emozioni e le prospettive di successo a Sanremo e nelle vendite. Su questo si basa il pagellone della prima serata del Fesival di Sanremo.

Loredana Bertè, Simone Cristicchi e Daniele Silvestri hanno tenuto alta la vecchia guardia, mentre tra i più giovani Ultimo sembra potersela giocare per la vittoria. Ecco tutti i voti della prima serata

FRANCESCO RENGA (Aspetto che torni) 6.5: chi si aspettava Renga, ha trovato Renga. In “Aspetto che torni”, dedica alla mamma Jolanda scomparsa prematuramente, c’è Renga in tutto, nella melodia quanto nel ritornello a voce piena. La sua voce: bella, pulita. Nulla di più e nulla di diverso rispetto alla sua produzione.

LIVIO CORI E NINO D’ANGELO (Un’altra luce) 5: duetto a tutto tondo, che sembra convincere e guadagnare punti però soltanto sul finale. Quasi paterno Nino D’Angelo nei confronti di un Livio Cori apparso eccessivamente emozionato, un’emozione che certo non gli ha giovato. D’accordo che il dialetto napoletano è una lingua a se, ma l’uso in “Un’altra luce” finisce per diventare davvero eccesivo.

NEK (Mi farò trovare pronto) 6: al primo ascolto non incanta. Sì, il ritmo è alto, il pezzo probabilmente conquisterà i favori dei network radiofonici, ma al ritorno all’Ariston in molti si aspettavano qualcosa di più di un sequel di “Fatti avanti amore”.

ZEN CIRCUS (L’amore è una dittatura) 6.5: si è ascoltato di peggio, a queste latitudini. Erano senz’altro tra gli artisti che destavano maggiore curiosità, e alla fine non hanno tradito le attese. Il brano è complesso, non da primo ascolto, ma l’impressione è che “L’amore è una dittatura” saprà ritagliarsi uno spazio interessante anche radiofonicamente parlando.

IL VOLO (Musica che resta) 6: c’è la mano della Nannini nel testo del brano proposto dal trio che torna dopo il trionfo del 2015. Belle armonizzazioni, picchi che fanno risaltare la voce dei tre ‘tenorini’, ma l’impressione netta è quella di un “Grande amore” bis, che strizza l’occhio soprattutto ai televotanti e che va alla caccia di un posto sul podio.

LOREDANA BERTE’ (Cosa ti aspetti da me) 8: hanno ammazzato Loredana, Loredana è viva. Parafrasando De Gregori, il Festival 2019 sancisce la definitiva rinascita della Bertè. Non è stato un fuoco di paglia il super successo estivo diviso con i Boomdabash. Bello il testo targato Curreri, lei regala ritmo ed energia come nei giorni migliori. Bentornata.

DANIELE SILVESTRI (Argento vivo) 7.5: non c’è dubbio ormai, Sanremo è l’habitat naturale del cantautore romano. Il brano funziona, tra suoni house e violini, e anche l’ingresso e il duetto con Rancore non toglie, anzi aggiunge. Candidabile per il podio, ma anche da piazzare in nomination per il premio alla critica.

FEDERICA CARTA E SHADE (Senza farlo apposta) 5.5: funzionerà in radio, c’è da crederci, ma funziona meno sul palco del Festival. Nessuno dei due interpreti sfigura, ma la canzone risulta leggerina, senza spunti realmente interessanti.

ULTIMO (I tuoi particolari) 7.5: se vuoi vincere Sanremo, o almeno candidarti per farlo, sali nella città dei fiori con un pezzo così. Inizio lento al pianoforte, poi il brano cresce, cresce e ‘tiene’. Magari non vincerà l’oscar dell’originalità, ma è un bel brano che ha musica e testo.

PAOLA TURCI (L’ultimo ostacolo) 7: una bella ballata rock quella della cantautrice romana, dedicata al padre che non c’è più. La sua voce ‘graffia’ ancora, prende al primo ascolto e potrà far meglio ancora in quelli successivi.

MOTTA (Dov’è l’Italia) 6.5: tra i cantautori che più incuriosivano prima, tra quelli che probabilmente faranno più discutere dopo. Arriva al secondo festival baglioniano con i favori dei pronostici, il ritmo latineggiante è sì piacevole, ma il brano non pare irresistibile, di quelli che “se non vince lui, chi altro?”.

BOOMDABASH (Per un milione) 5: reduci dal successone con la Bertè l’estate scorsa, lei sale un gradino in più, loro sembrano scendere se non una rampa di scale, almeno un paio di gradini. Reggae abbastanza scontato, l’impressione è che non resteranno nella memoria di questa edizione numero 69.

PATTY PRAVO E BRIGA (Un po’ come la vita) 6: il pezzo appare discretamente costruito e orecchiabile, loro un po’ meno. La prestazione canora della Patty nazionale è discutibile almeno quanto il suo look, e anche Briga a volte zoppica. Se a tradirli è stata l’emozione lo si capirà ai prossimi ascolti.

SIMONE CRISTICCHI (Abbi cura di me) 7.5: come Silvestri, anche Cristicchi al Festival non sbaglia mai. Brano intimo e intenso, che in alcuni passaggi quasi cinge, abbraccia. Piano e viola ad accompagnare un inizio quasi sussurrato, poi arriva anche una batteria non invadente che porta il brano sino al finale. Anche lui può candidarsi al premio della critica.

ACHILLE LAURO (Rolls Royce) 6.5: alla fine non dispiace l’irriverente “Rolls “Royce del trapper più ‘tiepido’ tra i trapper. Cita fenomeni dello sport, dello spettacolo e del rock che hanno consumato una vita e una carriera tra immensi trionfi e rovinose cadute, disegnando un brano che nel post-Sanremo potrà trovare riscontri non soltanto tra i giovanissimi.

ARISA (Mi sento bene) 6.5: l’Arisa dallo stile belle époque si modernizza almeno a livello di ritmo, anche se ‘pescando’ una base che pare arrivare dritta dritta dalla dance anni ’70. Ai dubbi sul brano fa da contraltare una certezza: la cantante ligure ha straordinarie doti canore, e le dimostra tutte in questo “Mi sento bene”.

NEGRITA (“I ragazzi stanno bene) 6: niente di nuovo sotto il sole. Tornano 16 anni dopo sul palco del Festival e sembrano quelli di 16 anni prima. E dire che avevano promesso che questo Festival sarebbe stato “per cambiare rotta”. La rotta è la stessa. Saranno contenti i fans della prima ora, senza dubbio.

GHEMON (Rose viola) 7: canzone da radio, c’è da scommetterci, forse un po’ meno da Festival, o magari non proprio da prime posizioni. La canzone gli sta decisamente bene addosso, meglio dell’impermeabile macchiato d’inchiostro.

EINAR (Parole nuove) 5: una sorta di Justin Bieber in salsa italiana, questa “Parole nuove” appare una canzoncina capace di ‘vincere’ un buon numero di passaggi in radio e, soprattutto, un posto tra gli mp3 degli ipod degli adolescenti.

EX OTAGO (Solo una canzone) 7: bocciata in classifica, a noi non è affatto dispiaciuta. Ritmo soul che parte piano e poi sale, con un ritornello che piace, di quelli che resterà facilmente fissato nella memoria. Non vinceranno all’Ariston, ma magari sotto l’ombrellone…di Riccione, vista la vaga somiglianza che si potrebbe trovare con i The Giornalisti.

ANNA TATANGELO (Le nostre anime di notte) 4.5: non ce ne voglia lady-D’Alessio, ma va a lei la palma del peggior brano. Classicone della cantante di Sora, che non accende e anzi spegne, assopisce, soprattutto se sorbita poco prima dell’una di notte.

IRAMA (Le ragazze con il cuore di latta) 5.5: la classifica non la premia, e manco noi riusciamo a salvarlo. Il tema degli abusi in famiglia è scottante, ma la costruzione del pezzo e l’esecuzione non convincono. Rap con ritornello cantato, alla fine risulta un deja vu che non accende, in parte ‘salvato’ dal coro gospel sul finale.

ENRICO NIGIOTTI (Nonno Hollywood) 6: anche lui era senza dubbio tra i più attesi, ma tradisce almeno in parte la fiducia dei critici. Il brano appare scarsamente originale; a salvare l’orecchiabilità, e magari a garantire anche un ritorno radiofonico, ci penserà probabilmente il ripetuto “non dormirò” che, in effetti, resta.

MAHMOOD (Soldi) 7: l’arabeggiante reggae/trap si fa apprezzare per originalità, con un bel ritmo e un buon testo, e alla fine anche il pubblico non ‘comodissimo’ dell’Ariston sembra gradire.
Claudio Bolognesi

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