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Musica

Sanremo 2019. Quinta serata. IL PAGELLONE. Silvestri apre alla grande, Ultimo, Cristicchi e Bertè le eccellenze

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SILVESTRI (Argentovivo) 8: la canzone più ‘impegnata’ del Festival, ma anche una delle più convincenti nel matrimonio testo-melodia. Un’altra prodezza targata Silvestri, che ormai ha abituato il pubblico dell’Ariston.

TATANGELO (Le nostre anime di notte) 6: al primo impatto non aveva impressionato, poi il brano è cresciuto, ascolto dopo ascolto. Pezzo armonioso, molto ‘pausiniano’.

GHEMON (Rose viola) 7: più l’ascolti, più piace. In tre esibizioni l’unica cosa davvero stonata, più che la sua voce, è stato sempre il look, discutibile a dir poco. Dettagli, rispetto a questa “Rose viola” che si ascolterà anche nei mesi prossimi.

NEGRITA (I ragazzi stanno bene) 6: come tutti i pezzi dei Negrita, occorrerà tempo per assimilarla. Di sicuro ribadiamo, un pezzo che ricalca, e ricalca troppo, la loro produzione. All’Ariston fecero la loro ultima apparizione 16 anni fa. Come non fossero mai passati.

ULTIMO (I tuoi particolari) 7.5: riparte dal pianoforte, che aveva ‘abbandonato’ solo nella serata di venerdì. E’ bello il brano ed è riuscito l’arrangiamento, ma un dubbio resta: saprà percorrere anche altre strade in futuro o continuerà ad assomigliare sempre (anche come temi dei testi) all’Ultimo sentito lo scorso anno e quest’anno?

NEK (Mi farò trovare pronto) 6: in conferenza stampa ha spazzato via ogni dubbio: un pezzo costruito per passare nelle radio, e in questo senso l’obiettivo è raggiunto. Certo questa “Mi farò trovare pronto” suonata con l’arrangiamento molto più intimo come nel duetto del venerdì sera era tutta un’altra cosa. Questa è invece, semplicemente, la solita canzone di Nek.

BERTE’ (Cosa ti aspetti da me) 8: si sgola in finale, ‘sbrana’ il palco, e raccoglie una standing ovation assolutamente meritata per un ritorno davvero coi fiocchi. Una leonessa che pare tornata in forma (vocale) come negli anni ’80.

RENGA (Aspetto che torni) 6.5: tornare è tornato, senza aspettare neppure tanto dall’ultima apparizione a Sanremo, ma senza novità in tasca. Un ‘rengapezzo’, che esalta le indiscusse doti vocali dell’ex signor Angiolini ma che non infiamma.

MAHMOOD (Soldi) 7: potrà piacere o no, sia il brano che l’aria arabeggiante, ma una cosa è certa: lo si ascolterà e stra-ascolterà, da fine Festival all’ultima fila dell’ombrellone la prossima estate.

EX OTAGO (Solo una canzone) 7: in un Festival contrassegnato in molti casi dal ritorno di arrangiamenti anni ’90, il loro pezzo ha proprio quest’aria qui, ed è un ritorno al passato riuscitissimo. Scorre via che è un piacere, dal primo ascolto all’ultimo, quello di ieri.

IL VOLO (Musica che resta) 6.5: si potrebbe copiare e incollare quanto detto per Renga e per i Negrita. Un ricalco di “Grande amore”, un brano musicalmente costruito per la voce dei tre tenorini, che spopolerà all’estero e che in Italia finirà nel dimenticatoio.

PAOLA TURCI (L’ultimo ostacolo) 7.5: attacco al piano splendido, lei tantissima classe e un pò meno voce. Delle apparizioni della Turci a Sanremo, diverse e molte di queste davvero convincenti, forse la più bella in assoluto.

THE ZEN CIRCUS (L’amore è una dittatura) 6: fa un pò l’effetto contrario rispetto a quasi tutti gli altri brani. Sembra in fase calante, era piaciuta di più al primo ascolto, il loro coerente e ossessionante punk indie annoia un pochino, alla lunga.

PRAVO – BRIGA (Un pò come la vita) 6.5: il voto è una media tra il brano, che sarebbe un bel brano, ben riuscito, ben arrangiato (anche in questo caso con affaccio sugli anni ’90), e un duetto di voci che proprio non funziona. Lui si salva pure, ma Patty no, appare davvero il ricordo sbiadito della cantante e dell’interprete che era.

ARISA (Mi sento bene) : la febbre le gioca un brutto scherzo proprio nella finalissima, ma l’ultima uscita ad handicap non può cancellare quanto di vocalmente celestiale ha fatto ascoltare nelle prime due esibizioni. Un brano coraggioso, un’Arisa che decide di non restare ancorata al rassicurante passato, ed è senz’altro da apprezzare in un Sanremo dove in troppi hanno puntato sul (troppo) sicuro.

IRAMA (La ragazza con il cuore di latta) 6.5: lui sta sul contemporaneo, senza appoggiarsi a sonorità del passato prossimo. Il pubblico giovanissimo può trascinarlo in zona podio anche se, nonostante il coro gospel che certamente aggiunge, la nostra impressione è che ci siano diversi brani più meritevoli di andare a medaglia.

ACHILLE LAURO (Rolls Royce) 6: tenendo da parte la polemica (poco musicale) sul messaggio che starebbe dietro alla Rolls Royce inneggiata da Achille Lauro, un brano che ‘picchia’ sul pubblico giovane, e lì arriverà, con riuscita quasi certa.

NINO D’ANGELO – LIVIO CORI (Un’altra luce) 5: difficile salvarla, anche avesse partecipato al Festival della canzone napoletana. Il brano non decolla mai, così come l’incrocio delle due voci.

FEDERICA CARTA – SHADE (Senza farlo apposta) 5: duetto esageratamente melenso, oltre che telefonatissimo. Senza di loro il Festival avrebbe perso davvero pochino.

SIMONE CRISTICCHI (Abbi cura di me) 7.5: piacevolissimo l’arrangiamento, appoggiato su splendidi archi e un pianoforte che accompagna fino in fondo un brano che commuove il pubblico almeno quanto commuove lui.

ENRICO NIGIOTTI (Nonno Hollywood) 6.5: il pezzo è discretamente riuscito, da cantautore vero, non eccessivamente moderno ma vero. Proprio perché il giovanotto ha dimostrato di sapere scrivere, ci si poteva aspettare anche qualcosa di più di questa “Nonno Hollywood”, un pò scontatina.

BOOMDABASH (Per un milione) 6: pezzo che guarda dritto dritto alla riviera e agli ombrelloni, con buone probabilità di riuscita. Piacerà al loro pubblico, forse meno agli aficionados del Festival.

EINAR (Parole nuove) 5: le parole nuove sono nuove, ahimè, soltanto nel titolo. Pezzo che cade e scade nello scontato, anche come sonorità.

MOTTA (Dov’è l’Italia) 6.5: all’ascolto distratto della prima volta, forse era stato un pò sopravvalutato come brano. Il testo non incanta. Era stato ‘retrocesso’ dalla fascia azzurra a quella gialla dalla prima apparizione alla seconda, che non sia effettivamente la collocazione giusta per questa “Dov’è l’Italia”?

Claudio Bolognesi

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